Certo che nei giorni in cui si scopre che gli Usa spiano da anni pure i propri alleati francesi, sentire parlare il segretario della Difesa americana Ashton Carter di «guerra ibrida» da parte della Russia (un mix di intimidazioni militari, azioni, vedi Crimea, cyberwar e propaganda) dovrebbe fare capire molte cose su quanto sta accadendo nei paesi baltici e più in generale nell’Europa orientale.

Con la scusa del pericolo russo, sia attuale, sia eventualmente post Putin e come conseguenza del conflitto ucraino, Usa e Nato hanno deciso e annunciato di rinforzare la propria presenza militare sul Baltico e in Europa (comprese Polonia e Germania), riportando armi e artiglierie pesanti «per difenderla dalla Russia», come non avveniva dai tempi della guerra fredda. Si è parlato di oltre 40mila uomini, ma sono soprattutto i mezzi corazzati, i B52 e quant’altro a preoccupare Putin.

Quest’ultimo, sentendosi in un angolo, ha replicato minacciando di recuperare arsenale atomico e cercando di stringere accordi con paesi europei, vedi Grecia, per allentare e diversificare l’accerchiamento. Ma qual è il motivo apparente di tutto questo? L’Ucraina. In pratica, una guerra scatenata dalla volontà di Nato e Usa di togliere dalle grinfie russe il paese, con la complicità della consueta pavida Europa, diventa la scusa per rinforzare i confini contro Putin. Mosca dal canto suo, a seguito della Majdan, senza colpo ferire, ha riconquistato la regione più russa dell’Ucraina, la Crimea.

Ormai però la frittata era fatta e se non bastassero media internazionali come Foreign Policy, recentemente perfino Sergio Romano, sul Corriere della Sera, ha ricordato il destino dell’Ucraina post Urss, come ponte naturale tra Europa e Russia. Forzare la mano da parte di Usa e Nato è stato indubbiamente un errore.

Anche perché, come ricordano gli esperti di Russia e storia dell’Europa dell’est, la sensazione russa, ora, di essere accerchiati è diventata molto alta. Putin si muove, a suo modo. Finanzia, presumibilmente, partiti euroscettici (come Il Front National di Le Pen, Orbán in Ungheria) flirta con la Lega in Italia (soprattutto grazie ad associazioni come Lombardia-Russia, sempre accanto a Salvini e compagnia) e tanti altri. Punta a dividere il fronte europeo, fa presente che se Atene chiederà aiuto, la Russia ci sarà. Una risposta ovvia ad un accerchiamento che ora, con le ultime mosse della Nato, sarà sempre più militarizzato. Benché dunque

Putin non rientri propriamente nei personaggi portatori di valori condivisibili, a essere indifendibile in questa circostanza appaiono più Usa ed Europa. Quest’ultima poi, non gradisce la sinistra al governo in Grecia, ma non trova niente di strano nelle politiche razziste di Orbán. Anche la Germania non ha battuto ciglio: pure sul suo territorio gli Usa aumenteranno basi e uomini.

Non può mancare l’Italia. Renzi ha invitato Putin a Milano e ha fatto la consueta sceneggiata «democristiana». Ma sulle riviste dove si discute di esercitazioni, si sottolinea il peso dell’incontro di oggi a Bruxelles. Si incontreranno i ministri della difesa e all’ordine del giorno c’è proprio «il contrasto alla Russia». Su Public Policy, si legge che «Ad oggi, non è stata ancora valutata dallaNato la composizione di dettaglio della Nrf (Nato response force ndr) e della Vjtf (Very high readiness joint task force ndr), che verrà discussa nella prossima riunione dei ministri della Difesa della Nato, che si svolgerà a Bruxelles. Per tale motivo, dunque, non è ancora possibile indicare né l’eventuale contributo nazionale, né, di conseguenza, i correlati costi». Quest’ultimo passaggio è la risposta data in commissione Difesa alla Camera dal sottosegretario Gioacchino Alfano a un’interrogazione di Massimo Artini (Alternativa libera) che chiedeva al governo come «si concretizzerà il contributo italiano alla Nrf rinforzata e, in particolare, alla Vjtf».