La narrazione tossica di Gaza
Scaffale «Israele, mito e realtà. Il movimento sionista e la Nakba palestinese 70 anni dopo» di Michele Giorgio e Chiara Cruciati, per Alegre. Il 29 al Cinema Palazzo, alle ore 18, un incontro con i due autori e Vauro
Scaffale «Israele, mito e realtà. Il movimento sionista e la Nakba palestinese 70 anni dopo» di Michele Giorgio e Chiara Cruciati, per Alegre. Il 29 al Cinema Palazzo, alle ore 18, un incontro con i due autori e Vauro
In direzione ostinata e contraria come avrebbe cantato De André, ci sono ancora intellettuali e giornalisti che continuano a ritenere il destino dei palestinesi (e di Israele) una questione centrale del Medio Oriente e della politica internazionale.
Non solo. Come sottolinea Tommaso Di Francesco nell’introduzione al libro di Michele Giorgio e Chiara Cruciati Israele, mito e realtà – Il movimento sionista e la Nakba palestinese 70 anni dopo (Alegre, pp. 223, euro 15), la questione palestinese misura anche la dimensione della disgregazione europea e italiana della sinistra che ha, in gran parte, abbandonato il tema per lasciarlo ai margini di formule auto-assolutorie come «i due stati non sono più possibili», «il dramma palestinese è marginale rispetto al resto».
Il che non è assolutamente vero: il doppio standard legale e umanitario applicato ai palestinesi, la violazione che continua da decenni delle risoluzioni Onu, è al centro di ogni questione mediorientale, segna anche il destino degli altri arabi, dei curdi, degli iraniani. Di tutti noi, come cittadini del mondo e di un Paese, il nostro, quasi mai sovrano e indipendente. Il doppio standard si moltiplica con sanzioni e embarghi, punendo in realtà non i regimi ma intere popolazioni. Tranne uno: Israele.
UN’ECCEZIONE giustificazionista che si traduce nella formula del «diritto dello stato ebraico a difendersi» e nel mantra irrinunciabile che «Israele è l’unica democrazia della regione», l’unica perché alle altre possibili non viene lasciata neppure una chance di esistere come nazioni, Paesi, stati e neppure come cittadini con diritti primari, come la casa e la terra dove si è nati.
A meno che non si pensi, una volta seminate rovine ovunque, di trovare dall’altra parte, pronti ad aspettarci, degli allegri boy scout.
AL VECCHIO COLONIALISMO, del resto mai fuori moda e rivisitato con gli interventi «umanitari» e i raid aerei americani, francesi, inglesi o russi, se ne accompagna un altro di stampo più «moderno» e adatto mentalmente ai tempi: la Palestina, inghiottita in questi anni anche dalla guerra siriana, viene percepita dagli occidentali come un affare interno a Israele.
Affari loro, in poche parole. Una tendenza che non riguarda soltanto le potenze occidentali ma anche la Russia di Putin che oggi nella mano tesa al premier Benjamin Netanyahu ne vede un’altra accarezzare il portafoglio perché Israele offre una sponda per aggirare le sanzioni imposte a Mosca dopo l’annessione della Crimea.
IL TIRO AL BERSAGLIO di Gaza da parte delle forze israeliane, in questa ottica, diventa dopo qualche giorno un evento trascurabile, così come lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e il suo riconoscimento come capitale dello stato ebraico. È con questo atteggiamento che viene somministrata dai media un’informazione tossica che titola «battaglia a Gaza tra israeliani e palestinesi» quando, come scrive Tommaso Di Francesco nell’introduzione, si è trattato soltanto di un tragico tiro al piccione. In questa distorsione dei fatti i giornali italiani non temono concorrenza, persino i quotidiani israeliani appaiono a volte più obiettivi.
LA SINISTRA E IN GENERALE la politica europea hanno accettato il fatto compiuto e la stessa Shoah, sottolinea ancora Di Francesco, è stata usata strumentalmente, scaraventata addosso agli arabi a giustificazione di una storia in cui non hanno responsabilità. Una volta il contrasto a questa versione degli eventi si sarebbe chiamata contro-informazione, oggi si tratta semplicemente di informare così come fa da anni, tutti i giorni, Michele Giorgio, storico corrispondente in Medio Oriente de il manifesto, per molti di noi il primo tra i giornalisti italiani che si va a leggere la mattina per capire cosa succede. Ne è la riprova la stima dei colleghi per la sua lucidità, intatta dopo tanti anni, e la tenacia nel districare il groviglio mediorientale. In questo libro, come in uno precedente sui 50 anni dalla guerra del 1967, si è scelto come compagna di viaggio Chiara Cruciati, che ha legato in maniera indissolubile la sua vita professionale alle vicende del Medio Oriente. Perché una volta saliti sulla «carovana dei martiri dell’informazione» non si scende più, come mi disse tanti anni fa con un sorriso ironico (ma non tanto) un amico palestinese.
IL CUORE DELLA QUESTIONE, a 70 anni dalla nascita nel 1948 dello stato di Israele e della Nakba, la catastrofe palestinese, è indicato con chiarezza dello storico israeliano Ilan Pappé in una lunga intervista sull’idea di Israele. «Il discorso sionista – dice – è fondato su basi fragili: la realtà non coincide con la narrazione». L’operazione fondamentale è stata assorbire la Palestina all’interno della storia europea: dalla Dichiarazione di Balfour sul focolare ebraico, passando per il piano di partizione del 1947, fino alla dichiarazione di Trump su Gerusalemme del 6 dicembre 2017, l’Europa e l’Occidente hanno incasellato la Palestina come una affare interno a Israele. «In questa visione i palestinesi – afferma Pappé – in quanto arabi e musulmani sono visti come migranti non come nativi».
Insomma i palestinesi, secondo questa versione, non riavranno indietro la terra – Israele intende la pace come accettazione da parte loro dello status quo – ma neppure hanno diritto a una storia.
Eppure questa storia, prima del sionismo, c’era eccome, anche ben documentata come spiega lo storico Salim Tamari, docente di Harvard: «A fine Ottocento, la Palestina, parte dell’Impero ottomano, amministrata in due province autonome (una con riferimento a Gerusalemme) era composta per l’85% da palestinesi musulmani e per il 15% da palestinesi cristiani, ebrei e di altre confessioni religiose». Anzi quella dei palestinesi è una storia che in un secolo mezzo definisce sempre di più il loro sentimento identitario arabo e nazionale. Ma oggi a prevalere è la versione sionista degli eventi con una costate rimozione: nella terra promessa c’era un altro popolo che viveva lì da secoli. Di fronte a questa semplice e cruda verità ogni giorno si volta la testa dall’altra parte.
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