Internazionale

La narrazione degli eccessi: Italia e Cina

Il racconto La Cina e l'Asia in generale viene trasmessa sui media italiani attraverso stereotipi o categorie ben definiti: dallo "strano ma vero" agli eccessi fini a se stessi

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 novembre 2013

Da quando sono rientrata in Italia, dopo 7 anni trascorsi in Cina, tendo ad evitare due cose con perizia scientifica: incontrare mia suocera e leggere di Cina su fonti non specializzate della stampa italiana.

Per quanto io persegua questi fini con ostinazione, succede a volte di dover fare delle deroghe. Così come mi capita di presenziare a eventi famigliari di cui mi ero dimenticata completamente senso ed esistenza, a volte mi ritrovo a soffermarmi sulla pagina degli esteri dei quotidiani che trovo abbandonati sul tavolino del bar la mattina, mentre mi gusto cappuccino e cornetto e, per un breve ma intenso istante, realizzo che qualche motivo per tornare in Italia forse c’era.

La sorpresa è che succede anche che io trovi cose interessanti e davvero ben scritte che parlano di Cina, India, più raramente del resto del sud est asiatico, a meno che non si tratti di cataclismi o faide imperiali. Allora quasi mi pento di quel “leggo solo la stampa estera” o quella specialistica, che può suonare fastidioso ma che ammetto di averlo pensato e detto.

Più spesso capita che, arrivata alla pagina degli esteri, io inizi ad avvertire uno strano fastidio. E’ una sensazione nuova, che non conoscevo prima di studiare l’India e di partire poi alla volta della Cina, passando tutte le tradizionali fasi che attraversa chi stabilendosi da quelle parti, cerchi di dare un senso a quello che vede nell’ordine: 1) oddio che casino!; 2) ora si che è tutto chiaro! Non ci voleva poi molto!; 3) mm, forse mi sbagliavo; 4) è il caso che mi metta a studiare, 5) da qui non se ne esce, si possono solo fare delle supposizioni.

Ci sono però supposizioni costruite meglio di altre e questo è evidente quando leggo di Cina sui quotidiani e periodici italiani o sulla colonna destra, dove sono relegate le notizie asiatiche, in molti siti.

Nel complesso mi pare di poter dire che la cifra dominante dell’informazione sulla Cina sia una tendenza alla “drammatizzazione“, riconducibile a due filoni ben precisi.

Il primo filone è quello, dello “strano ma vero“, una panoramica sui fatti più o meno strabilianti che accadono nel paese: dalla “donna con i capelli più lunghi del mondo”, “all’uomo più alto del mondo”, passando per il “bambino più grasso del mondo“, giusto per citare alcuni tra i titoli più recenti. La Cina è presentata come il luna park dell’eccesso e poco importa se l’uomo alto più di due metri soffra di una malformazione o se il bambino cinese sia il risultato del diffondersi del diabete a causa dell’aumento dei redditi e del cambiamento radicale della dieta nel paese. Bisogna stupire, senza perdersi troppo in contestualizzazioni e la Cina pare proprio lì per questo.

Il secondo filone è più ambizioso, perché si ancòra a luoghi comuni, vecchi e nuovi sulla Cina, e da lì parte costruendo una versione che riporta però una verità parziale, perché non tiene conto che in fondo i cinesi sono qualcosa come 1 miliardo e 400 milioni di individui, divisi da climi, tradizioni culturali e lingue. Secondo questa visione i cinesi sarebbero ad esempio, tutti “gran lavoratori”, la Cina conoscerebbe tutta un “eccesso di materialismo”, e, pezzo forte, la non ben definita classe media cinese sarebbe in perenne “ascesa”, diretta dove, non è dato di saperlo. Tutte mezze verità ma proposte con ambizioni totalizzanti che poco senso hanno quando si ha davanti un mondo di tale complessità come quello cinese.

Ad accomunare i due filoni è quindi una “narrazione degli eccessi“ che prende il sopravvento su tutto il resto, riducendo la Cina a un contenitore di orrori o di iperboli, a seconda dei casi e della convenienza.

L’effetto che si ottiene è a volte irritante, più spesso esilarante. E allora via a condividere le migliori performance informative sui social network, in categorie mutuate dal festival di Cannes, tipo un certain régard per le cose leggere e divertenti, fino all’ambitissima Palma d’oro, che va alle analisi degli eventi più grossolane, alle supposizioni più bislacche e ai finti scoop.

Non rimane che chiedersi perché molta stampa italiana si sia rassegnata a riportarci la Cina in questo modo. Qualche supposizione a proposito è possibile farla. In fondo risulta comodo ricondurre tutto a quel Alllook same il titolo di una mostra di arte contemporanea organizzata mentre mi trasferivo in Cina e che ironizzava proprio sulle difficoltà dell’occhio occidentale di distinguere e orientarsi in Asia. Una modalità che riporta la narrazione su paesi e culture lontane a categorie a noi note, producendo una via maestra fatta di stereotipi e generalizzazioni. “Un procedere per cliché narrativi, sintomo di un atteggiamento sulla difensiva, secondo il quale il pregiudizio è la base della conoscenza”, osserva a proposito la comparativista Marina Timoteo.

Ma per una Cina capace di stupirci come sta facendo nelle ultime settimane, ci vuole una narrazione che valga più di mille stupefacenti notizie. Se lo merita la Cina, ma se lo meritano soprattutto i lettori.

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