La narrativa in Italia ha perso il treno
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La narrativa in Italia ha perso il treno

Frammenti Tutti viaggiano, tanti scrivono. Ma la locomotiva sparisce dai prodotti culturali
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

D’estate è abituale che i treni, almeno in Italia, arrivino spesso a destinazione con ritardi anche gravi. Tutti, nonostante tanti adulti – quanti, sulla popolazione complessiva? – posseggano e guidino un automobile, prendono assiduamente un treno, per motivi di lavoro, famigliari, di diporto. Tutti viaggiano, e anche tanti scrivono. Si diceva una volta, e c’era perfino chi osava aggiungere: «scrivere poco, scrivere tutti», una parola d’ordine superflua perché il «sistema» editoriale ci ha avvicinato molto a questo discutibile obiettivo.

In questi giorni si riparla, come da tradizione, della crisi estiva dei trasporti ferroviari. Chi viaggia molto o ha viaggiato molto come me, che ho perfino osato scrivere tanti anni fa una prosa autobiografica intitolata Storie di treno, constata bensì che tra i tanti argomenti di tipo «familistico» e strapaesano che i giovani scrittori e le giovani scrittrici italiani affrontano nei loro romanzi il treno e i ferrovieri facciano solo qualche apparizione laterale, non diventino mai dei protagonisti. Almeno a giudicare dai libri che capita di leggere o di scrutare in libreria – e se ne dimentico, correggetemi!

Se si volesse risalire ai treni di una volta, i romanzi che tornano in mente dove i treni sono co-protagonisti (per esempio il Trans-Europ Express e l’Orient Express tra anni venti e sessanta del secolo scorso), sono dei gialli e a volte sono anzi dei capolavori del genere, i più noti e i più belli quelli di Agatha Christie. di Georges Simenon, di Graham Greene…

In Italia sono serviti da sfondo o da argomento centrale più a film che a romanzi (Treno popolare di Matarazzo, sulle vacanze organizzate d’epoca fascista, Treno crociato di De Sica dentro la guerra e diretto a Lourdes, Roma-Parigi-Roma commedia all’italiana con Fabrizi capotreno bigamo ai capolinea di un treno internazionale…, e poco d’altro). L’ultimo o il più recente dei film sui treni è stato il bellissimo esordio nel lungometraggio documentario di Pietro Marcello, Il passaggio della linea (2007), sui pochi viaggiatori di un treno della notte. Sì, potrei citare tanti treni per scene secondarie o di pretesto per scene secondarie o centrali in commedie e commediole, ma con quello di Marcello c’è soltanto un film di ieri da ricordare con un certo affetto ed è Il ferroviere di Pietro Germi (1956), che volle anche esserne il protagonista. E, tra i classici, ci sono dei formidabili film russo-sovietici e c’è soprattutto il capolavoro di Jean Renoir L’angelo del male (1938) tratto dal capolavoro di Zola La bestia umana. A Hollywood ne fece un adattamento moderno Fritz Lang in ambiente americano, nel 1954. Nel film di Renoir era il treno il vero protagonista, condizionatore della vita di chi vi lavora…

Si pensa ai treni in questi giorni con un certo tremore, nella paura, dovendo viaggiare non solo per lavoro ma anche, con famiglia al seguito, per raggiungere luoghi di vacanza. Tra i miei ricordi di treno più belli ce ne sono di treni nazionali o internazionali che riportavano per un mese ai paesi di origine intere famiglie proletarie (le ferie pagate furono una conquista dei Fronti Popolari e delle dittature degli anni trenta, e più tardi di tutte le democrazie dopo il 1945), il ricordo dei bambini che volevano sentirsi raccontare storie e non si decidevano ad addormentarsi perché eccitati dalla novità del viaggio… Per mia fortuna ho visto piccoli e non grandi incidenti, ma una notte ero da poco sceso alla stazione di Napoli quando si sparse la voce della strage dell’Italicus… Sui giornali di ieri 2 agosto i treni erano protagonisti per fortuna incruenti: nel ricordo – un ricordo per fortuna lontano – della strage dell’Italicus, e con le notizie del giorno sui gravi ritardi dovuti a un sistema ferroviario sotto continua pressione e probabilmente non bene organizzato.

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