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La mossa di Bush

La mossa di BushNew York, 11 settembre 2001 – Ap - LaPresse

Archivio /11 settembre 2001 Questo editoriale è comparso sul manifesto del 14 settembre 2001

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 11 settembre 2021

“E’ la prima guerra del XXI secolo. Guideremo il mondo alla vittoria”. Questo ha dichiarato ieri l’attuale presidente Usa, George W. Bush. E’ indiscutibile: c’è aria di guerra, non si sa contro chi e nessuno l’ha ancora formalmente dichiarata, ma c’è e noi ci siamo dentro.

Ci siamo dentro perché nella serata di martedì, per la prima volta in oltre cinquant’anni della sua vita (e solo un po’ meno di guerra fredda), la Nato ha reso esecutivo l’articolo 5 dell’Alleanza, che afferma che ogni attacco armato contro un paese alleato comporta l’intervento militare di tutti i componenti dell’Alleanza. Lord Robertson ha spiegato che se sarà chiarito che l’attacco terroristico agli Usa è stato diretto dall’estero, l’articolo 5 entrerà in vigore.

Detto tutto ciò, vale osservare che lo stato nemico è ancora ignoto e che l’articolo 5 della Nato andrebbe applicato secondo le norme di ciascun paese e, nel caso nostro, secondo l’articolo 78 della Costituzione, che recita: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.

A rigor di legge dunque non siamo ancora in guerra, ma è evidente la volontà politica degli Usa di coinvolgere tutti gli alleati nella loro guerra e Berlusconi ha detto che ci vuole “una forte risposta militare” e anche politica: obbedienza scontata.

Il punto è che Bush è in grandissima difficoltà: il suo prestigio è caduto in basso e si sente obbligato a recuperare con una clamorosa rappresaglia: ma contro chi, e come? (E’ ancora pesante la memoria del clamoroso fallimento di Carter, nel 1980 in Iran).

In questa situazione, il suo primo atto politico è stato quello di coinvolgere gli alleati con il duplice obiettivo di ripartire le responsabilità e i rischi: nella disperata ipotesi di una punizione nucleare o in quella più probabile di un indiscriminato bombardamento, la responsabilità sarebbe ripartita tra tutti e tra tutti sarebbe ripartito il prevedibile rischio della risposta alla rappresaglia. Così, anche in seguito alle modifiche dell’art. 5 nel 1999, ai tempi del Kosovo, gli alleati sono stati degradati al ruolo di correi e di bersaglio.

Ma questa storia dello stato di guerra, che ancora non c’è e si potrebbe evitare, avrebbe anche preoccupanti conseguenze sul piano interno.

Le parole finali dell’art. 78 della Costituzione – “le Camere conferiscono al Governo i poteri necessari” – preparano e legittimano il passaggio ai poteri eccezionali. Il governo, questo governo di Fini, Berlusconi e Bossi avrebbe ampio spazio per limitare le libertà dei cittadini: di manifestare, telefonare senza essere ascoltati, protestare, etc.

Sicuramente contro molti di noi rifiorirà l’accusa di “disfattisti” di fascistica memoria. Anche questo deve sollecitare la nostra attenzione: i poteri derivanti dallo “stato di guerra” potrebbero consentire anche al nostro governo la sua rappresaglia per il fallimento di Genova.

A questo punto il ruolo dell’Italia e dei paesi europei, soprattutto della Francia e della Germania, può essere decisivo per non cadere nello “stato di guerra” a piacere degli Usa.

Il dispositivo della stessa Nato dice che per l’entrata in vigore dell’art. 5 bisogna accertare che l’attacco terroristico dell’11 settembre abbia avuto la sua base in uno stato estero. Questo deve essere un accertamento fondato e accettato dagli alleati: non può dipendere dalle convenienze di Bush.

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