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La morte di Ugo Russo, per i pm di Napoli è stato «omicidio volontario aggravato»

La morte di Ugo Russo, per i pm di Napoli è stato «omicidio volontario aggravato»Napoli, manifestazione per chiedere verità e giustizia sulla morte di Ugo Russo

Il rapinatore quindicenne ucciso da carabiniere nel 2020 Il padre della vittima: «Da quasi tre anni io e la mia famiglia subiamo insulti e pressioni di ogni tipo perché continuiamo a chiedere verità e giustizia»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 novembre 2022

La notte tra il 29 febbraio e il primo marzo del 2020 Ugo Russo, 15 anni, è sullo scooter con un amico nel borgo Santa Lucia, a Napoli, hanno una pistola giocattolo senza tappo rosso. Individuano un’auto di lusso: dentro un ragazzo di 23 anni con la fidanzata, al polso ha un Rolex. Il complice resta sul motorino, Russo arriva dal lato del guidatore per rapinare l’orologio.

Il ventitreenne, C. B., è un carabiniere fuori servizio ma con sé ha l’arma di ordinanza, l’estrae e spara due colpi in rapida successione: uno va a vuoto, l’altro colpisce Russo alla spalla. Il quindicenne, ferito, indietreggia, si volta e scappa verso il complice sullo scooter. C.B. rimette in moto l’auto, la sposta in modo da rimettere il ragazzo in linea di tiro ed esplode altri colpi di pistola: uno dei proiettili raggiunge Ugo sotto lo sterno, l’altro alla testa, vicino l’orecchio, uccidendolo sul colpo. Il ragazzo si accascia vicino al motorino, lontano dalla berlina dove tutto è iniziato.

A dirlo sono le telecamere di sorveglianza della zona, a due passi dalla sede della regione Campania, e le perizie depositate dalla procura di Napoli. Il 6 ottobre i pm Simone De Raxas e Claudio Siragusa hanno notificato l’avviso di conclusione indagini: l’analisi balistica e medica, acquisite nella formula dell’incidente probatorio, avranno valore di prova da utilizzare nel processo. Ci sono voluti due anni e otto mesi per conoscere le risultanze dell’indagine. Oltre due anni in cui i genitori hanno lottato per avere «verità e giustizia».

Acquisite le perizie, l’ipotesi di accusa diventa «omicidio volontario» con le aggravanti di aver approfittato delle circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la difesa (art. 61 comma 1 n. 5), dell’abuso di potere (art. 61 comma 1 n. 9) e di aver commesso il delitto ai danni di un minore (art. 61 comma 1 n. 11 quinques). Dalle indagini dunque è emerso che ci sono state due fasi nella sequenza dell’omicidio: il ferimento nel tentativo di rapina e quindi l’uccisione del ragazzo «mentre è in fuga» scrivono testualmente i pubblici ministeri.

I legali del carabiniere, tuttora in servizio in una località del Nord, fanno sapere: «Rispettiamo le conclusioni a cui è pervenuto il pm fermo restando che non le condividiamo e siamo certi di dimostrare durante il processo una versione alternativa». Gli avvocati presenterà memorie difensive poi toccherà al gip.

«Per la mia famiglia, per mia moglie e i miei altri figli sono stati e sono anni difficilissimi. Abbiamo sopportato il dolore della perdita di Ugo insieme a pressioni e insulti di ogni tipo perché continuiamo a chiedere giustizia. Nulla potrà restituirci Ugo, ma chiediamo che il processo arrivi presto» racconta il padre Enzo, che è arrivato a incatenarsi davanti al tribunale a maggio 2021. Stamattina alle 12 ci sarà una conferenza stampa in piazza Parrocchiella convocata dalla famiglia del ragazzo ucciso «per prendere parola» sulla chiusura delle indagini.

«Se questi anni sono sembrati interminabili – spiegano gli attivisti del comitato Verità e giustizia per Ugo Russo – è per la continua aggressione morale subita dalla famiglia. Una parte dei media e dell’opinione pubblica è sembrata molto più interessata alla permanente criminalizzazione di un ragazzo di 15 anni piuttosto che a comprendere cosa fosse successo. A pochi è importato approfondire se a Ugo fosse stata applicata una pena di morte senza processo, come sembrava indicare fin da subito il luogo del ritrovamento del corpo e il colpo alla nuca». E infine: «Auspichiamo una riflessione pubblica sul futuro dei ragazzi dei quartieri popolari ma anche sulla formazione delle personale a cui i corpi di sicurezza mettono un’arma in mano».

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