La morte di Arianna Flagiello, il compagno condannato per maltrattamenti aggravati dall’istigazione al suicidio
La Cassazione ha stabilito la pena definitiva a 19 anni di reclusione La donna si è tolta la vita nel 2015 per le vessazioni psicologiche subite
La Cassazione ha stabilito la pena definitiva a 19 anni di reclusione La donna si è tolta la vita nel 2015 per le vessazioni psicologiche subite
Confermata in Cassazione la condanna a 19 anni per Mario Perrotta, il compagno di Arianna Flagiello che il 19 agosto del 2015 si uccise lanciandosi nel vuoto dal quarto piano del suo appartamento all’Arenella, quartiere collinare di Napoli. Perrotta è stato ritenuto responsabile in primo, in secondo grado e, infine, dai giudici della sesta sezione penale della Suprema Corte, di maltrattamenti aggravati da morte come istigazione al suicidio e tentata estorsione. I giudici, inoltre, l’hanno condannato al pagamento di ulteriori spese per le parti civili: i genitori e la sorella della vittima e l’associazione Salute donna. Arianna Flagiello, come avevano scritto i giudici d’Appello, si tolse la vita a causa «dell’intollerabile disperazione conseguita alle condotte maltrattanti del compagno».
L’avvocata Giovanna Cacciapuoti, legale di Salute donna, spiega: «La particolarità di questa vicenda è che si è trattato di maltrattamenti morali, psicologici. Da questa condizione di maltrattamenti estremi ne è derivata la morte per suicidio. Quella della Cassazione è una pronuncia importante che ha ribadito un principio, non consolidatissimo, secondo il quale quando vi è la prova che la decisione di togliersi la vita è indotta da una condizione di prostrazione che si vive a causa di maltrattamenti allora ci si trova davanti a un reato di maltrattamento aggravato dalla morte, dunque una conseguenza diretta». E la criminologa Antonella Formicola, che ha assistito la famiglia Flagiello: «La sentenza ha creato a mio avviso un precedente importante. Tante volte le violenze psicologiche sono trattate in maniera più leggera ma in realtà possono uccidere».
Perrotta in primo grado era stato condannato a 22 anni pur cadendo l’imputazione di estorsione, nel grado successivo la pena è scesa a 19 anni ma i giudici hanno riconosciuto anche l’estorsione. Nelle motivazioni d’Appello si legge che il suicidio di Arianna fu «un gesto prevedibile» per le continue vessazioni e Perrotta era pienamente consapevole della «condizione di estrema fragilità e di vero terrore» in cui aveva costretto la campagna. La donna si è suicidata a 32 anni, era legata al suo aguzzino da quando ne aveva 18. Vivevano in un appartamento messo a disposizione dai genitori di Arianna, che lavorava in una casa editrice. Non solo le continue violenze ma anche le pressanti richieste economiche da parte di Perrotta, che non aveva un lavoro stabile. Pochi giorni prima della morte avrebbe chiesto alla compagna e a sua madre 19mila euro.
Negli atti si legge di «calci, pizzichi, buffetti» e messaggi telefonici come «sto tornando accumincia a fui’» («sto tornando, inizia a scappare» ndr) oppure «mo ti faccio mettere paura veramente». Secondo i pm, Perrotta «umiliava e offendeva Arianna fino a ridurla in uno stato di soggezione completa», «una intollerabile disperazione conseguente alle condotte maltrattanti del compagno, portate avanti con assoluta insensibilità anche nell’ultimo giorno di vita della compagna e anche a fronte del disperato invito di lei a smetterla altrimenti si sarebbe tolta la vita». Il 17 agosto aveva scritto a Perrotta: «Vita mia…ti supplico, no…ti prego…amò sto tremando e non riesco ad accucchiare («combinare» ndr) nulla…ti prego».
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