Virato di verdi e blu acidi, in un’Amburgo triste, fredda, e popolata di immigrati dell’Est, La spia – A Most Wanted Man sarebbe un thriller spionistico di superficie, elegante e inerte, fino a venti minuti prima della fine se non fosse per la presenza di Philip Seymour Hoffman. Accessoriato di numerosi bicchieri di whisky liscio e delle nuvole di fumo delle sigarette che stringe tra le dita come se volesse stritolarle, il suo Gunther Bachmann –direttore di un’unità fantasma dei servizi segreti tedeschi- è subito un personaggio di straordinaria forza e malinconia.

Una presenza emblematica della realtà della guerra al terrorismo post 11 settembre che fa da sfondo al romanzo di John le Carrè, pubblicato nel 2008. In quella che rimarrà purtroppo una delle sue ultime interpretazioni (un nuovo capitolo, il terzo, di Hunger Games è atteso a novembre) l’attore di Capote e Boogie Nights, scomparso il febbraio scorso, incarna alla perfezione l’indignazione morale che scuote le pagine del libro, il peso di tante decisioni sbagliate, prese dall’Occidente in questi anni, quasi visibile sulle sue spalle.

(Forse) relegato in una postazione minore per via di qualcosa che è andato storto anni prima, a Beirut, Bachman coordina un gruppetto di giovani agenti (tra cui gli attori tedeschi Nina Hoss Daniel Bruhl Franz Hartwig) che indagano la pista dei finanziamenti al terrorismo islamico. È, si capisce subito, una sorta di cane sciolto: paterno con i collaboratori , paziente, meticoloso e disilluso –probabilmente molto bravo in quello che fa, e altrettanto poco incline a fidarsi di ordini e interventi che arrivano dall’alto. Specie quando c’è l’America di mezzo.

«La spia» che dà il titolo al film si materializza improvvisamente davanti a Bachman e ai suoi uomini sotto le spoglie di un ragazzo alto e magro, con la barba folta e la faccia spaventata. Si chiama Issa Karpov (Grigoryi Dobrygin), è un musulmano devoto ed è arrivato illegalmente in Germania dalla Cecenia. Accolto in casa da una coppia di turchi, Issa ha bisogno di aiuto, e viene presentato a una giovane avvocatessa specializzata in diritti civili (Rachel McAdams). La squadra di Bachman li sorveglia, come da routine, fin dal primo incontro.

I campanelli d’allarme iniziano a suonare quando, attraverso la legale, Issa si mette in contatto con un banchiere (Willem Dafoe) per accedere a un conto intestato a suo padre e su cui, si scopre, sarebbero depositati parecchi milioni di dollari. Le autorità dei servizi segreti locali, in tandem con americani e inglesi, vorrebbero arrestarlo subito. Bachman chiede tempo, perché spera che Issa lo aiuti a risalire a chi tiene veramente in mano le redini del flusso di denaro diretto ad Al Quaeda. Grazie all’inaspettato appoggio di un’agente dell’intelligence Usa (Robin Wright, con i capelli nero pece, il fare seducente e il sorriso di un lupo) gli danno settantadue ore.

Philip Seymour Hoffman è sempre stato un attore di grandissimo, struggente, dettaglio. Anche Bachman è un po’ così – le sue analisi basate sull’osservazione attenta, sulle psicologie, sul rispetto dei «personaggi» , sulla volontà di non intervenire in modo troppo distruttivo nelle vite altrui.

«Può chiarirci quale sarebbe il vantaggio che trarremo dall’assecondare il suo piano?» gli chiede l’agente americana in uno dei tanti incontri in cui lo stropicciato tedesco è chiaramente in minoranza. «Il mondo diventerebbe un tantino più sicuro», risponde lui. Pausa, prima di aggiungere (con uno dei magnifici sorrisi, stanchi e addolorati, tipici di Hoffman): «Non basta?».

Regista di efficacia patinata e impersonale, Corbjin non sembra particolarmente investito nel genere del thriller spionistico. Il suo è un ritmo neutro, persino stracco ogni tanto. E, se non bastassero i titoli dei giornali, persino quattro stagioni di Homeland ci hanno insegnato che l’arrivo, in extremis, della cavalleria non vuol dire che le cose finiscono per il meglio. Anzi. La spia – A Most Wanted Man è un film senza sorprese, che vive però nell’intelligenza e nello spessore della storia, dei personaggi, e degli attori cha danno loro corpo.