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La morale di Jimmy Bobo

La morale di Jimmy BoboSylvester Stallone in una scena di Jimmy Bobo - Bullet to the head

Al cinema Lo stile rigoroso di Walter Hill in un action movie con Sylvester Stallone

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 4 aprile 2013

Come i personaggi di uno dei suoi registi preferiti, Robert Aldrich, gli eroi non eroici dei film di Walter Hill sono uomini che scelgono la libertà di non tradire mai se stessi. Come quelli di un altro autore che Hill ama molto, Howard Hawks, i suoi film mettono in scena codici di valori e di comportamento. Il che fa di Walter Hill – oltre che uno dei grandi stilisti del cinema hollywoodiano contemporaneo- anche uno dei suoi moralisti più ostinati e imperturbabili. Jimmy Bobo – Bullet to the Head non è tratto da una sua sceneggiatura (il copione, adattato dal fumetto francese di Alexis Nolen, è firmato da Alessandro Camon) ma è un film hilliano già sulla carta. Un duetto che ricorda innanzitutto quello incandescente tra il poliziotto Nick Nolte e il galeotto Eddie Murphy in 48 Hrs., per un film che riffa sulla Golden age anni ottanta dell’action movie con la precisione, elegante, leggera e inesorabile caratteristica di questo regista e che i giovani autori che lavorano nella vena degli Eighties (come Gordon Green, JJ Abrams o Zack Snyder) non hanno chance di eguagliare.

Asciuttezza, velocità, humor, il gusto elettrico di una scena che non ha un’inquadratura di troppo, di personaggi stringati come ombre dalla caverna di Platone: Hill ama ridurre tutto all’osso. Qui drena colore e folklore da New Orleans, teatro dell’incontro tra Jimmy Bobo (Sylvester Stallone), un killer con la passione dei tatuaggi e Kwon (Sung Kang, l’attore di Fast Five), poliziotto di provenienza Washington. In comune hanno un nemico, che ha ucciso i rispettivi partner e, entro la fine del film, avranno anche una donna, Lisa (l’ex cheerleader iraniana/messicana Sarah Shahi). Per il resto non potrebbero essere più incompatibili.
Il meccanismo narrativo che li farà incontrare scatta nella prima scena quando Jimmy, durante una delle sue esecuzioni a pagamento, decide di non includere nella carneficina generale anche una prostituta che si trova lì per caso. È una scelta che va contro le regole di qualsiasi «manuale del killer professionista». Ma, come scoprirà anche il poliziotto pignolo Kwon, Jimmy Bobo non è un killer qualsiasi. E, con la scusa della caccia agli assassini dei due partner, il film diventa una full immersion notturna nel rigore ineccepibile dell’universo morale di Jimmy. L’uomo più solo del mondo, se non fosse per una figlia che però non vede mai ma il cui amore gli sta scritto, in svariati colori, sulla pelle di tutto il corpo. Walter Hill è arrivato al progetto dopo che Stallone era già stato scritturato ma l’abbinamento è perfetto, il cuore del film.

Filtrato dalla sensibilità hilliana, Sly è prosciugato del sentimentalismo e della dimensione caricaturale, autoreferenziale, che è ormai parte intrinseca di ogni suo personaggio. Lloyd Ahern, l’abituale direttore della fotografia del regista, ne illumina/nasconde il volto e il corpo con una semplicità diretta che, nella sua trasparenza (i lineamenti segnati, per non dire deformi, i movimenti non sempre facilissimi….come se tutti questi anni di stunt fossero visibili, uno dopo l’altro) è quasi dolorosa. Allo stesso tempo, nel ruolo malinconico di Jimmy Bobo, Stallone appare più sereno, leggero che mai, come spogliato dal peso di se stesso.
E il duello d’asce finale (contro il feroce gigante hawaiano Jason Momoa, il nuovo Conan il barbaro) ha il giusto brivido di una sfida generazionale, sia fisica che metaforica. Hill ha scelto di ambientarlo nello stesso luogo dove Charles Bronson combatteva a pugni nudi per salvare la vita a James Coburn, alla fine di Hard Times.
Con quaranta giorni di lavorazione e un budget di quattordici milioni di dollari, Bullet to the Head è uno di quei film di genere «come non se ne fanno più», nel senso che non sono diventati incomprensibili per un executive hollywoodiano, sia dal punto di vista estetico che finanziario. Non a caso, la Wb ha (catastroficamente) scelto di distribuire Bullet in Usa come un film «di Stallone» qualsiasi, creando così delle aspettative tutte sbagliate per questo noir crepuscolare e umoristico con cui Walter Hill strizza l’occhio anche un po’ a Melville.

I segni di un rapporto tormentato con lo Studio affiorano qua e là nel film. Si vede che Hill è stato meno libero che in uno dei suoi progetti indipendenti più recenti e sottovalutati, Undisputed (un altro duello tra codici di valore, giocato sul ring di una prigione). Alla fine, con l’appoggio di Stallone, dalle guerre di postproduzione, ne è uscito vittorioso lui e non un altro protagonista dell’action movie anni ottanta ed ex collaboratore su 48 Hrs, il produttore Joel Silver che probabilmente voleva un film più bombastico e convenzionale. Non questo Bullet , che è esplosivo nella sua tranquilla, sicura, tenerezza.

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