Visioni

La moltiplicazione dei pani e dei Pooh

La moltiplicazione dei pani e dei PoohRoby Facchinetti e Riccardo Fogli

Sanremo 68 Lo si guarda per poterne parlar male, spettegolare e criticare. Se non fosse così, dovremmo credere che buona parte degli oltre dieci milioni di italiani che assistono al festival o non hanno di meglio da fare, o sono masochisti, e non so cosa è peggio

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 8 febbraio 2018

In fondo, lo si guarda per poterne parlar male, spettegolare e criticare. Se non fosse così, dovremmo credere che buona parte degli oltre dieci milioni di italiani che assistono al Festival di Sanremo o non hanno di meglio da fare, o sono masochisti, e non so cosa è peggio. Lo scatenamento dei commenti sui social network e l’audience stellare confermano che Sanremo vale tanto quanto una partita dell’Italia ai mondiali di calcio che viene guardata, per amor di patria e di condivisione, anche da chi non sa distinguere un fuori gioco da una rimessa laterale. Detto ciò, è tale la grancassa mediatica attorno al Festivalissimo, che il telespettatore ha tutto il diritto di essere esigente e, se è il caso, inclemente, sferzante e pure un poco cattivo.

Mica si va a teatro, al cinema o ai concerti per esse buoni, ma per emozionarsi, divertirsi, stupirsi. Visto che quest’anno le classifiche parziali vogliono copiare il Giudizio Universale stabilendo le categorie di inferno, purgatorio e paradiso corrispondenti al rosso, giallo e blu, mi adeguo dividendo Sanremo in gironi, eletti, dannati e penitenti. La trinità dei conduttori, essendo indivisibile, va messa in purgatorio perché c’è molto da migliorare. Se Hunzicher ridens fa con scioltezza e spontaneismo il suo lavoro, in certi momenti ti sembra di aver sbagliato canale perché con le sue smorfie e mossette sembra che stia conducendo più Striscia la notizia che il festival, tant’è che ti aspetti di sentire gli applausi registrati in sottofondo.

Claudio Baglioni, invece, sembra uno stoccafisso o il cartonato di una pubblicità di un chirurgo estetico, d’altra parte c’è da capirlo, condurre non è il suo mestiere. Pierfrancesco Favino tira un po’ su le sorti. È autoironico e non troppo ingessato, benché nemmeno la sua bravura basti sempre a salvare i disastri autoriali di certe gag o trovate che sono davvero da asilo Mariuccia. Ecco, appunto, gli autori vanno tutti mandati all’inferno. Ma a chi è venuto in mente che può far ridere la scenetta di Baglioni che si fa prestare gli occhiali dagli orchestrali, o quella in cui infila un suo stivaletto a un piede di Hunzicher che fa finta di perdere una scarpa, neanche fosse Cenerentola, o che può piacere il pistolotto di Baglioni sull’essenza della canzone? Ma al supplizio di Tantalo dovrebbe essere condannato chi ha avuto l’idea di far cantare, e strapazzare, dalla Hunziker E se domani, che tutti ci ricordiamo interpretata da Mina. Lì la conduttrice avrebbe dovuto ribellarsi e dire «A questo massacro non mi presto».

Nel limbo, luogo da cui si resta a bagnomaria per tempo immemorabile, andrebbe messa la moltiplicazione dei pani e dei Pooh che non solo non si sono sciolti, come avevano annunciato lo scorso anno, ma al festival si presentano pure sdoppiati, Roby Facchinetti e Riccardo Fogli da una parte, Red Canzian dall’altra. In paradiso va messo il farfallino di Baglioni che non ne vuole sapere di restare diritto e al suo posto, prova che anche i farfallini hanno una dignità e il senso della rivolta; l’orchestra che sopporta con stakanovista senso del dovere l’abito di scena bianco che li fa sembrare appena scesi dalla serie televisiva Love Boat; i belli e danzanti capelli del cantante dei Kolors. Infine, al posto del giudicante padre del creato metterei Ornella Vanoni che, nonostante l’eccesso di botox, in fatto di carisma e bravura resta una spanna sopra a molti. Ha pure una bella canzone che dice: «Bisogna imparare ad amarsi in questa vita. Bisogna imparare a lasciarsi quando è finita. E vivere ogni istante fino all’ultima emozione. Così saremo vivi». Amen.

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