Visioni

«La misura del dubbio», la ricerca costante di certezze e la fragilità della vita comune

«La misura del dubbio», la ricerca costante di certezze e la fragilità della vita comuneDaniel Auteuil e Grégory Gadebois in una scena del film

Al cinema Diretto e interpretato da Daniel Auteuil, presentato al Festival di Cannes, si basa sul blog di un avvocato penalista francese

Pubblicato 8 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

Gennaio 2020, primo giorno del processo a Nicolas Milik. La corte è pronta ad ascoltare avvocati e testimoni di una vicenda iniziata quasi tre anni prima a Mas-Thibert, Arles, in Francia. A Milik viene comunicato di essere in stato di fermo nel febbraio del 2017 mentre è a tavola che distribuisce un piatto di spaghetti alle tre figlie e ai due figli. La polizia non spreca parole, lo preleva e lo porta via. Una scena brutale per la sua rapidità. La sera, l’avvocato Jean Monier è a casa con l’ex moglie e socia, Annie Debret, che sorseggia vino e ascolta musica a lume di candela. Una telefonata, però, rompe l’incantesimo. È la gendarmeria che chiama di notte per una difesa d’ufficio. Dovrebbe occuparsene Annie, ma è troppo stanca e quindi chiede, in via del tutto eccezionale, a Jean se può farle il favore di presentarsi lui, almeno per il primo colloquio. Sorride, sembra non accogliere la richiesta. Da quindici anni, si occupa solo di banali casi civili, dispensando consigli ai suoi clienti, aiutandoli nelle questioni famigliari ed economiche. Dopo aver difeso e fatto assolvere un pluriomicida che poi, una volta libero, ha ricominciato a uccidere, ha virato verso le normali dispute che affollano i tribunali delle grandi città come dei piccoli paesi. Alla fine comunque accetta.

DIRETTO e interpretato da Daniel Auteuil, che nel film è l’avvocato Monier, La misura del dubbio (presentato al Festival di Cannes) racconta di un caso giudiziario e di un incontro per certi versi casuale, involontario. Né Milik, né Monier avevano previsto di cambiare la traiettoria della loro esistenza, intercettandosi, stabilendo una relazione, seppur, asimmetrica. Da un lato, il presunto omicida della moglie che professa la propria innocenza, dall’altro un avvocato che torna a credere alle parole di un uomo e si rimette in gioco, dopo un terribile errore di valutazione.
Milik è disorientato, dimesso, senza alcun rancore nei confronti di chi lo ha accusato. Credibile nella sua versione di padre di famiglia che mai commetterebbe una violenza così orrenda. E, al tempo stesso, simile a quegli uomini che dietro una reputazione nascondono quotidiane atrocità. Il suo comportamento è incomprensibile, in un certo senso è in preda a quei dubbi che, al contrario, Monier pare non possedere più. Cos’è accaduto al legale che non voleva più commettere sbagli? È la fiducia nel prossimo che lo rianima? O forse è nuovamente prigioniero di una convinzione? In altre parole, accetta l’incarico per il cliente o perché ha bisogno di seguire una fede?

A SEI ANNI da Sogno di una notte di mezza età, il quinto lungometraggio da regista di Auteuil prende spunto da un blog (Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire) tenuto da un avvocato penalista, Jean-Yves Moyart, sotto lo pseudonimo di Maître Mô. Fatti reali, perciò, cronache umane. Anche se l’attore ha cambiato l’ambientazione, dal nord della Francia al sud, per collocare la vicenda in zone che conosceva meglio. Al di là di questa variazione che, peraltro, dona al film maggiore autenticità, proprio per la padronanza con la quale Auteuil riesce a muoversi, La misura del dubbio non si limita a ricalcare il cinema di genere. Si apre a una narrazione di luoghi e persone, di speranze e di fallimenti, di drammi personali, disegnando un’umanità talvolta ottusa o cattiva, ingenua o semplicemente incapace di reagire alle avversità. Nella ricerca della verità, nelle testimonianze, nei punti di vista, riemergono le fragilità del vivere insieme, di sentimenti che producono amore e odio, sorrisi e indicibili violenze. A separare stati d’animo e azioni così diverse un semplice filo che, non a caso, è parte del titolo originale francese Le fil, forse meno diretto della traduzione italiana, ma che dilata il senso di questa storia.
Nel delitto di una donna, prima felice e poi progressivamente imprigionata nella sua stessa vita, e nel processo che ricostruisce i frammenti di un piccolo universo, si rivelano tutte le crepe di un mondo che deve confrontarsi continuamente con i propri convincimenti. Invertendo l’ordine dei termini, sono i dubbi che dovrebbero misurarci.

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