Politica

La minoranza? Va dove vado io

Riforme Renzi richiama il partito e tutti i senatori: l'ordine del governo vale anche per la Costituzione. Guerra alla proposta Chiti, che perde qualche pezzo ma guadagna 12 senatori ex grillini

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 11 aprile 2014

Gli avvertimenti non finiscono mai. «La minoranza non va per i fatti suoi, va dove va la maggioranza». Non è Lenin al Tg3, è Matteo Renzi. Preoccupato di difendere il suo disegno di legge costituzionale, che dalla prossima settimana affronterà al senato dubbi e controproposte che arrivano innanzitutto dal Pd. Anzi, preoccupato no: «Forza Italia manterrà gli impegni ed è un bene», dice il presidente del Consiglio. Quanto ai «dissidenti», «il Pd ha delle regole al proprio interno» e dunque la linea che il gruppo del senato deciderà di adottare martedì prossimo dovrà essere quella di tutto il gruppo. Gli risponde Pippo Civati, la sua (piccola) corrente è l’unica a non aver ancora aderito allo slancio dal sapore elettorale del premier, che vuole a tutti i costi il primo sì alla riforma entro la data del voto europeo (25 maggio). «Prima dello statuto del Pd – dice Civati – c’è la Costituzione». E in effetti la «stranezza» di una revisione profonda della Carta imposta dal governo – si tratta, ricordiamo, della trasformazione del senato in una camera non elettiva in abbinata con una legge elettorale ultra maggioritaria per la camera – diventa qualcosa di più e di peggio quando il primo ministro cerca di limitare (nel tempo e nel merito) le possibilità di intervento dei parlamentari. E reagisce male quando lo si accusa di torsione autoritaria.

Da tutte le tv Renzi punta allo stesso bersaglio. La proposta di legge alternativa firmata da Vannino Chiti e da altri senatori della minoranza, non troppo diversa da quella del governo ma diversa nel mantenere l’elettività della camera alta. «Non ha nessuna chance, è buona per essere sventolata qualche giorno sui giornali». Civati, che con i senatori a lui vicini è confluito sulla proposta Chiti, cade nella trappola retorica e sostiene che qualche chance invece ce l’ha: «L’hanno appena sottoscritta 12 senatori ex grillini…». Poi c’è qualche interessato in Forza Italia, qualcuno del Nuovo centrodestra, certo. Ma la sostanza non cambia: la proposta di Chiti e di altri venti senatori democratici iè mportante per quanti voti riuscirà a togliere al disegno di legge del governo. Renzi l’ha capito bene, per questo sposta la sfida su un terreno – chi ha più voti – dove può vincere facile. Ma quando, dopo l’adozione del testo del governo, la proposta sarà trasformata in emendamenti, sul punto dell’elettività del senato la commissione affari costituzionali ballerà. E ballerà anche l’aula, dove a Renzi basta perdere 10 senatori per non avere i numeri necessari per approvare in terza e quarta lettura la legge di revisione costituzionale, altro che referendum.

Certo, il richiamo all’ordine di un segretario che ha i sondaggi in poppa fa sempre il suo effetto nel Pd. E infatti nel ruolo dei guardiani del costituzionalismo renziano si distinguono gli ex oppositori del leader, lettiani, cuperliani e giovani turchi, Tutti del resto convinti, solo dieci mesi fa, che senza cambiare forma di governo la modifica del bicameralismo non sarebbe servita a nulla. Allora seguivano Quagliariello. Qualcuno dei venti firmatari di Chiti già si sfila, ma non tutti. Per questo Renzi deve ancora voltarsi dalla parte di Berlusconi che, conferma, presto o tardi incontrerà. Del resto «le riforme si fanno con tutti», ripete il velocista. Ma non ditelo a Civati che sta cercando di convergere con i forzisti che vogliono conservare il senato elettivo. Anatema: la minoranza non può andare dove vuole. Perché «la direzione del partito e gli elettori delle primarie si sono espressi», ripete il segretario. Ma su che cosa non può dirlo.

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