La Minga indigena scuote la terra
Colombia Feliciano Valencia, candidato di Fuerza Comun
Colombia Feliciano Valencia, candidato di Fuerza Comun
Faceva un certo effetto, durante la marcia «No al Quimbo» che il 12 ottobre ha percorso i 14 chilometri che separano il paesino di La Jagua dalla cittadella di Garzòn, vedere il prima fila i contadini di Asoquimbo con il tipico cappello e il poncho bicolore, insieme agli indigeni Nasa guidati dal leader Feliciano Valencia.
E ancora di più sentire Feliciano, prossimo candidato alle presidenziali del 2014 per il movimento Fuerza Comun, una costola del partito di sinistra Polo, annunciare dal palco di Garzòn, dove la marcia si disponeva in ordine dietro gli striscioni colorati delle varie sigle contadine, l’avviarsi della Minga Indigena per il 14 ottobre: «Bloccheremo il Paese in 25 punti – ha annunciato Feliciano – siamo a preparati a molti giorni di resistenza. Chiediamo che le popolazioni indigene vengano rispettate, nei loro diritti e nel riconoscimento di quelli ancestrali, nella difesa dei nostri territori e della Madre terra».
Le parole di Feliciano hanno trovato inmediata concretizzazione nelle azioni sparse in ogni angolo del Paese in questi ultimi due giorni: si parla di oltre 40.000 indigeni che in almeno 10 dipartimenti regionali su 32 stanno attuando blocchi stradali e occupazioni. I comunicati della Onic, l’organizzazione nazionale dei popoli indigeni della Colombia, denuncia già numerosi fatti di violenza: «L’uso eccessivo della forza da parte dell’ESmad, gli squadroni antisommossa, e l’incarcerazione massiva di almeno 100 nostri compagni». A Buenaventura, nella Valle del Cauca, si registrano già 4 feriti gravi fra gli indigeni. La Panamericana fra Popayan e Cali è stata bloccata per ore da almeno 14.000 Nasa Kiwa.
Fino a qualche tempo fa in Colombia era impensabile vedere contadini e indigeni insieme: contrapposti da una feroce politica agraria che storicamente li ha messi gli uni contro gli altri, prima hanno vissuto lo spoglio delle terre a danno dei popoli originari attraverso le varie entregas de tierras (consegna delle terre) ai contadini da parte dello Stato che voleva colonizzare i territori indigeni; poi lo spoglio dei grandi latifondisti ai piccoli produttori. Ci sono voluti un Trattato di libero commercio e le durissime condizioni che impone su esportazioni, acquisto di semi transgenici e fertilizzanti, e le politiche economiche iperestrattiviste dei governi Uribe e Santos, per produrre il miracolo: campesinos e indigenas fianco a fianco per una politica della redistribuzione delle terre, la riforma agraria e più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita de los de abajo, quelli che da sempre stanno «in basso» e pagano in prima persona la violenta economia neoliberista della Colombia: gli sfollati per i megaprogetti, le colture intensive e le miniere; gli afrodiscendenti, le donne, e gli indigeni, appunto. Al tavolo dei negoziati fra Farc, Eln, Governo, che proseguono a L’Avana dal 19 novembre scorso, tierra y territorio sono gli snodi attorno a cui il dialogo si è impiantato, i punti focali dai quali i rappresentanti degli eserciti guerriglieri non sposteranno la contrattazione e che, dopo il Paro campesino nacional, il grande sciopero contadino che per quasi due mesi ha bloccato la Colombia, fa paura anche al Governo del presidente Manuel Santos .
Feliciano Valencia, referente del Cric, il Coordinamento indigeno del Cauca, rappresenta 11 popoli, è organizzato in 122 governi per un territorio di 570.000 ettari: la Minga Indigena è stata descritta come impressionante: «200 popoli indigeni per almeno 200.000 persone. Questa minga è la prosecuzione del paro agrario nacional iniziato lo scorso 19 agosto». La lotta per la rivendicazione dei diritti delle popolazioni indigene ha ora un posto preciso nel panorama politico sempre più articolato in opposizione al governo.
«Vogliamo ricostruire un Paese, che deve essere più giusto e in cui deve poter regnare la pace – dice – Feliciano -. L’imposizione della dittatura delle multinazionali straniere non è più accettabile. L’articolazione della nostra lotta con vertenze come quella del Quimbo è fondamentale per la portata simbolica, ma anche per la resistenza della gente».
*www.yaku.eu
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