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La migrante «irregolare» di Isabel Sandoval

La migrante «irregolare»  di Isabel Sandoval

Il film «Lingua franca», presentato al Xº edizione di Divergenti Festival Internazionale di Cinema Trans

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 30 gennaio 2021

Solo un incubo da svegli «l’era-Trump»? Come far sì che non ne resti nemmeno la più infinitesima abbarbicata propaggine?
New York, 2019, tardo mandato. In una città semivuota, tra arresti indiscriminati e il piombo di parole come «immigrazione criminale» e «deportazione», di continuo iniettato nell’aria dalla voce invasiva del presidente, è lo sguardo di Olivia, ancora umanamente non alienato, il diapason attraverso cui percepiamo tutto questo, il suo corpo elegante di giovane donna capace di desiderare, che recalcitra a questo viluppo di gabbie.
Pure, in quanto migrante filippina «irregolare», nonché a causa dei documenti che riportano ancora la sua identità maschile, è come un pezzo di un puzzle che non combacia con nessuno degli altri; è Lingua franca di Isabel Sandoval, menzione speciale alla Xº edizione di Divergenti Festival Internazionale di Cinema Trans, diretto da Nicole De Leo e Porpora Marcasciano.

Dunque una dolente distonia pervade la vita di Olivia sia quando assiste alle nozze per amore della sua amica di infanzia e si fa scattare una polaroid con l’uomo che invece lei paga a rate perché la sposi (Green card di Weir è ad anni luce), sia per le strade dove si sente sempre braccata, e persino nella casa dove lavora impeccabilmente come badante presso Olga, anziana di origine russa.

Perché Olivia sa voler bene, accudire a distanza in tutti i sensi anche la madre, sa cercare il piacere con sé stessa e ne L’amante di Lady Chatterley, eppure la storia che potrebbe nascere con Alex – il nipote di Olga, costretto a lavorare presso il mattatoio dello zio per emendare inaffidabilità e alcolismo, nonché a occuparsi della nonna – è gravata da infinite impossibilità e dal furto dei documenti di lei da parte di uno dei violenti che Alex frequenta.

Così, se potessero essere visti dall’alto, i personaggi sarebbero come cavie in un labirinto di solitudine e ansia, mentre Olga chiede a Olivia, attraverso l’interfono, quando potrà tornare a casa. In fondo alla strada «il treno ha fischiato» ma, diversamente dal racconto di Pirandello, il mondo è sordo.

Eppure, malgrado questo arbitrario abisso di nonsense e dolore, quella che emerge è l’impronta di Isabel Sandoval – che scrive dirige interpreta e produce – capace di giocare col suo vero nome durante un magico ballo sulle note di Smoke gets in your eyes, e di parlare una lingua franca del rispetto, della pelle e del cinema. Un sacro pasoliniano del nuovo millennio, inoppugnabile al di là di qualunque troglodita vetusto fascismo.

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