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«La mia storia dei fiumi»

«La mia storia dei fiumi»

Intervista Stefano Fenoglio, professore di zoologia all’università di Torino e cofondatore di Alpstream, un centro di studi sui fiumi alpini, parla del rapporto tra uomini e fiumi, su cui ha scritto un libro

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 luglio 2023

Herman Melville in Moby Dick scriveva: «Prendi qualsiasi sentiero tu voglia, e dieci a uno ti condurrà in una valle e ti lascerà vicino a un torrente. C’è del magico in questo». Da quella magia è stato colpito, fin da bambino, Stefano Fenoglio, vero e proprio figlio dei fiumi. Li frequenta da sempre, da quando ci andava con il nonno pescatore, e da decenni li studia e li monitora. Insegna zoologia all’Università di Torino ed è cofondatore di Alpstream, il centro per lo studio dei fiumi alpini che ha sede a Ostana, a un passo dalle sorgenti del Po. La sua passione e la sua conoscenza sono confluite in un libro, Uomini e fiumi. Storia di un’amicizia finita male (Rizzoli), che indaga questo rapporto su cui si fonda la nostra civiltà. Una relazione che, però, è diventata parassitaria.

Il libro si distingue per un taglio soggettivo e che alla parte più storico e scientifica alterna parentesi narrative e biografiche. Come è nato?

È un progetto a cui pensavo da tempo, insegnando e spendendo tempo in attività divulgative ho accumulato negli anni parecchio materiale; lavorando lungo i fiumi ho raccolto aneddoti, spunti di vita vissuta e curiosità. Precedentemente avevo scritto testi più didattici sull’ecologia dei fiumi, mi mancava un libro rivolto a tutti sul nostro rapporto con le acque correnti. Durante il primo lockdown, ho buttato giù uno scheletro, poi incontrando il favore di una casa editrice ho sviluppato il progetto cercando un registro che andasse oltre le aule universitarie. Dei fiumi si sente parlare solo quando fanno paura, in caso di alluvioni, secche o inquinamenti. È un errore, la nostra civiltà dipende dai fiumi, oggi come seimila anni fa. Indebolendo i fiumi, rompendo questa remota amicizia, abbiamo indebolito noi stessi.

Perché sono così importanti?

I fiumi rappresentano lo 0,0002% dell’acqua del nostro pianeta, sono una parte infinitesimale ma la usiamo per tutto: per irrigare, per bere, per allontanare gli scarti e i reflui dei depuratori. Sono, infatti, sistemi ecologici unici nel loro funzionamento. Il nostro benessere dipende da loro, oggi come in passato, un tempo ce ne rendevamo conto più che ora. Tutto si incrocia e c’entra storicamente con i fiumi, le grandi città, i trasporti, la tecnologia, persino l’invenzione della scrittura: al Metropolitan Museum di New York è esposta una tavoletta di argilla le cui incisioni cuneiformi ci parlano di un lavoro legato a canali irrigui presso Umma, in Mesopotamia.

Da Erodoto a Werner Herzog, ha costruito una storia sociale e culturale del fiume. Come l’ha impostata?

Sono un lettore vorace e tenace. Negli anni, quando trovavo qualcosa che si riferisse ai fiumi, me lo appuntavo. L’importanza dei fiumi per gli imperi commerciali dell’800 permea, per esempio, le pagine di Cuore di Tenebra di Conrad, l’ultima parte de L’amore ai tempi del colera di García Márquez è dedicata al Rio Magdalena e Fitzcarraldo di Herzog è una pellicola veramente fluviale sotto ogni aspetto. Le note hanno preso corpo e senso con un progetto più organico come questo. La mia passione per i fiumi nasce fin da bambino, ho sempre amato il dinamismo di questi ambienti, diversi in ogni stagione e in ogni luogo. Pensiamo al fiume Po quanto sia diverso a Crissolo, non distante dalla sorgente, da Cremona. Sono le arterie di un territorio, un fascino inconscio per molti di noi, lo testimoniano anche le arti figurative. Basti osservare i dipinti di Leonardo e notare quanto i corsi d’acqua non siano solo un elemento di sfondo.

Quando è saltato il rapporto con i fiumi e come mai?

Quando abbiamo incominciato a trascurarne l’amicizia, interrompendo una stretta relazione di conoscenza con il territorio. Ciò coincide con il boom economico, sono state abbandonate montagne e colline a favore delle città e il rapporto con i fiumi è pian piano diminuito. Negli ultimi anni con la rivoluzione digitale è addirittura peggiorato: guardiamo il mondo attraverso schermi, ma non riconosciamo più gli schemi della natura. Ci stupiamo che un fiume invada una zona, quando dovremmo invece stupirci che lì hanno costruito capannoni. Pensiamo di vivere protetti da una bolla ipertecnologica ma noi stessi siamo un elemento degli ecosistemi in cui viviamo. Leonardo sapeva che l’acqua è molto più pericolosa del fuoco, perché più difficile da controllare. È vano e sciocco, pensava, cercare di contrastare la forza delle acque, mentre è molto più sicuro e sensato lasciare al fiume i suoi spazi, cercare di disperderne l’energia piuttosto che aumentarla.

Anche per i fiumi spesso si valuta un unico aspetto, magari emergenziale, e si dimentica il fenomeno nella sua complessità.

Si parla degli invasi come panacea della siccità. Sono utili ma devono stare in una strategia più ampia. Il clima sta cambiando rapidamente e non si può usare l’acqua come ieri, bisogna usarla meno e meglio. Sì a un’agricoltura di precisione e a colture meno idroesigenti. Avere meno acqua significa, inoltre, averne più inquinata, perché viene meno il ruolo depurativo dei fiumi. D’altronde, tutte le grandi città sono nate sulle rive di un grande fiume proprio per la capacità di un corso d’acqua di allontanarne gli scarti. Ricordo un altro aspetto, nel 2017 la scomparsa delle sorgenti del Po divenne una notizia, mi ritrovai sulle prime pagine, ma dissi anche che non era un fenomeno locale bensì generalizzato: monitoravamo 17 fiumi alpini e 13 erano in secca nel tratto alto, l’aspetto più complessivo però non fu affrontato.

Come coesistono siccità e alluvioni?

Sono due facce della stessa medaglia del cambiamento climatico. Nel nostro Paese piove complessivamente di meno ma quando piove le precipitazioni sono più intense: quello che veniva distribuito in tre mesi viene riversato in 24-48 ore. L’artificializzazione dei nostri sistemi fluviali ha portato un aumento della velocità delle acque che rischia di provocare danni ingenti. Si dovrebbe rallentarla e dissipare l’energia, creare casse di espansione laddove un fiume può uscire e rallentare. Invece, lo rettifichiamo e arginiamo. Leonardo diceva che, a parità di portata, se restringiamo la sezione aumentiamo la velocità.

Una delle sue proposte è ritornare a frequentare i fiumi e lasciar gestire il rapporto a chi li conosce davvero.

Come fatto per millenni, è necessario avere cura e manutenzione rispettosa e continua del territorio. Con l’emergenza mettiamo pezze che spesso peggiorano la situazione. Solo alcuni decenni fa i nostri bambini avevano un rapporto quotidiano col fiume, ora non vedo più nessuno. Si è persa una familiarità e questo è pericoloso. Tutte le amicizie senza frequentazione e interesse reciproco durano poco nel tempo. Bisogna coltivarle e prendersi cura degli altri per recuperare un antico e indispensabile rapporto.

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