La genesi della teoria comunista, almeno nella forma in cui è stata elaborata da Marx, è il frutto di tutta una serie di «superamenti» sostanzialmente tesi a spostare il baricentro dell’attenzione dalle altezze eteree delle astrazioni speculative alla materialità conflittuale del mondo umano.
In tale direzione vanno letti tanto l’affrancamento da ogni forma di divinità, quanto il ribaltamento dell’idealismo hegeliano e anche l’oltrepassamento del falso materialismo di Feuerbach, bravo a smascherare il fondamento materiale della religione ma non a dedurne la centralità dell’effettiva prassi umana allo scopo di superare le ingiustizie del mondo terreno.

A fronte di ciò si può comprendere quanto il pensatore di Treviri vergava nelle Tesi su Feuerbach: «La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica bensì una questione pratica tutta la vita sociale è essenzialmente pratica». Concetto nodale e dirimente sfuggito sino a quel momento ai filosofi, che si erano limitati a interpretare diversamente il mondo quando in realtà si trattava di trasformarlo.

Un’intuizione dirompente che nessuno meglio di Gramsci avrebbe sistematizzato grazie al concetto di filosofia della prassi: tanto la teoria è sterile se non elaborata in vista di azioni concrete quanto la prassi si rivela cieca e disorganica senza il riferimento a una teoria coerente. Occorre evitare l’esercizio speculativo onanistico, perfettamente incline a lasciare immutati gli squilibrati rapporti di forza materiali.

Già, ma allora si impone una domanda inevitabile: perché il comunismo, volendo trasformare le condizioni reali della maggior parte degli oppressi, per di più armato di un’arma teoretica così potente e coerente, è stato sonoramente sconfitto da quel sistema capitalistico che, per di più, viene supportato da una «scienza triste»?

La risposta di Vattimo e Zabala è netta: perché il marxismo non ha saputo uscire dall’orizzonte metafisico in cui si è baloccato tutto il pensiero filosofico fino a Nietzsche. Oggettivando il reale, pretendendo di poter conseguire una verità certa e obiettiva, si è configurato come un sistema che, laddove realizzatosi e realizzantesi, in nulla sarebbe stato preferibile al sistema capitalistico.

Il pensiero metafisico è proprio dei forti, scrivono i due studiosi, ossia di coloro che detengono il potere e pretendono di affermare lo status quo come la realtà oggettiva da cui non è possibile scostarsi.

L’unica alternativa percorribile risiede in un «comunismo ermeneutico» in cui l’apporto di Nietzsche e Heidegger (contro gli idoli del pensiero metafisico e delle presunte verità oggettive) integri il materialismo storico di Marx, indebolendo la nostra «forma mentis oggettivistica» e, per esempio, gettando uno sguardo curioso verso gli esperimenti di vera democrazia popolare che provengono dai paesi latino-americani (sulla scia di Chávez).
Convincente? Poco. Più che altro senza alternative credibili, al momento, né forti né deboli.