La «metà oscura»: nostalgici e radicali che la narrativa ha spesso dimenticato
Un percorso di lettura Poche le eccezioni come «Occidente» di Ferdinando Camon appena tornato in una nuova edizione per i tipi di Apogeo che indagava già nel 1975 il cuore di tenebra della Padova nera, là dove intorno ai neonazisti di Ordine Nuovo si erano gettate le basi operative per le stragi della Strategia della tensione. Al centro del racconto, il profilo di un piccolo leader fanatico, «Franco», e il retroterra emotivo e psicologico dell’odio omicida
Un percorso di lettura Poche le eccezioni come «Occidente» di Ferdinando Camon appena tornato in una nuova edizione per i tipi di Apogeo che indagava già nel 1975 il cuore di tenebra della Padova nera, là dove intorno ai neonazisti di Ordine Nuovo si erano gettate le basi operative per le stragi della Strategia della tensione. Al centro del racconto, il profilo di un piccolo leader fanatico, «Franco», e il retroterra emotivo e psicologico dell’odio omicida
Forse non è un caso che malgrado il rilievo che il «fascismo dopo il fascismo» ha tristemente acquisito nella storia nazionale, rare siano le tracce che ne testimoniano la presenza dopo la fine della guerra non tra le pagine di studi e indagini, in qualche modo asettici, ma tra quelle ben più intime e impastate di vita quotidiana della narrativa.
COME SE GLI ASPETTI di cronaca, anche sanguinosi, e il permanere di tracce ideologiche incrostate in profondità fossero più facili da assumere della banalità impregnata di esistenza di storie che ci parlano in modo irriducibile non solo degli altri, ma anche in qualche modo di noi stessi. Come se, rimesso l’orbace negli armadi, il fascismo non avesse assunto nel Paese quell’aspetto altrettanto odioso denunciato da Pasolini già negli anni Sessanta nei termini di «normalità, codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società». Forse quando si parla di «rimozione» rispetto alla memoria, e alle colpe iscritte nella storia patria, si dovrebbe considerare anche questo capitolo: l’estrema rarità per non dire l’assenza di romanzi che indagano o anche solo raccontano il mondo del neofascismo o della destra radicale in una realtà come quella italiana che ne ha per altro conservato a lungo un non certo invidiabile primato.
Tra i primi a cercare di dare un volto al fenomeno c’è lo scrittore veneto Ferdinando Camon: il suo straordinario romanzo, Occidente che torna ora in una nuova versione per i tipi di Apogeo (pp. 127, euro 15), indagava già nel 1975 il cuore di tenebra della Padova nera, là dove intorno ai neonazisti di Ordine Nuovo si erano gettate le basi operative per le stragi della Strategia della tensione. Al centro del racconto, il profilo di un piccolo leader fanatico, «Franco», e il retroterra emotivo e psicologico dell’odio omicida.
Dal canto suo, ma lo farà molti anni più tardi, in particolare nel 2004 con Avene selvatiche (Marsilio), Alessandro Preiser, nom de plume dietro cui si cela una vero protagonista di quella stagione, passato alla scrittura dopo aver saldato i suoi conti con la giustizia, racconta la San Babila «trincea nera» della Milano degli anni Settanta. Il protagonista del romanzo, cui seguirà nel 2009 sempre per Marsilio Zucchero bianco che segue la deriva verso la criminalità di un ex «camerata», Eurialo, guida i lettori in un mix di violenza e follia, tra rampolli della buona borghesia e sottoproletari che arrivano dalle periferie in quel bacino della voglia di rivincita sulla Storia che fu il neofascismo meneghino dell’epoca.
DENTRO LE PIEGHE INCERTE degli anni ’70, lungo i margini di quell’humus non necessariamente ideologico ma sociale, culturale, addirittura ambientale che faceva da sfondo alla crescita dell’estrema destra si muovono in qualche modo anche due romanzi tra loro molto diversi come Le canaglie di Angelo Carotenuto (Sellerio) che racconta la straordinaria Lazio dello scudetto del 1974 ma anche le ambiguità politiche e i comportamenti borderline di alcuni dei suoi campioni e La scuola cattolica di Edoardo Albinati (Bur, 2020) che non fa da sfondo solo al massacro del Circeo ma descrive anche l’ambiente nel quale quella tragedia fu costruita tra senso di impunità, soldi, potere e odio. In realtà, a ben guardare, anche Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi (Mondadori, 2003) diceva qualcosa del mondo in cui cresceva il neofascismo, in questo caso l’ambiente dell’Msi pontino di un decennio precedente, quello che condurrà al ’68, attraverso la «vita scriteriata di Accio Benassi».
Quando infine si ha l’impressione che la Storia torni a bussare in modo inquietante all’uscio di casa, gli anni Novanta dell’allarme «naziskin», è un libro di Luce d’Eramo, Si prega di non disturbare (Rizzoli, 1995) a illustrare il profilo di Enrico Vainati, fascista e omicida, interprete di una nuova generazione di fanatici pronti a tutto.
RESTA POI, DIETRO LE QUINTE, la memoria del mondo neofascista che faticherà a lungo anch’essa ad emergere in forma narrativa. Con esiti diversi. Su tutti, un romanzo divenuto cult negli ambienti dell’estrema destra come Io non scordo dell’ex esponente di Terza posizione Gabriele Marconi (Settimo Sigillo, 1999) e il memoir di Annalisa Terranova, Vittoria, una storia degli anni Settanta (Giubilei Regnani, 2013).
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