Uno studio pubblicato ieri sulla rivista Nature prova a rispondere alla domanda «A cosa serve la menopausa?». Non è ben chiaro come mai l’evoluzione abbia permesso lo sviluppo di specie che vivono a lungo anche dopo aver svolto le loro funzioni riproduttive, le sole utili alla diffusione dei geni. In effetti, fino a pochi anni fa si riteneva che Homo sapiens fosse l’unica specie ad aver sviluppato un’aspettativa di vita abbastanza lunga da trascorrere oltre il 40% della propria vita media senza possibilità di riprodursi. Si pensava anche che la menopausa fosse un effetto collaterale della civiltà, è cioè che solo il progresso scientifico recente ci avesse permesso di vivere molto tempo al di là dei 45-55 anni, la fascia di età ritenuta fisiologica per la cessazione dell’attività ovarica.

Gli studi degli ultimi anni hanno smentito questi luoghi comuni. L’allungamento dell’aspettativa di vita è dovuto in gran parte alla diminuzione della mortalità infantile e solo in una piccola parte riflette un aumento della longevità. Nelle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori, che si pensa vivano più o meno come i nostri antenati pre-civiltà, chi arriva a 45 anni di età può sperare ragionevolmente di raggiungere anche i 60-70. Inoltre, non siamo affatto l’unico mammifero con la menopausa. Il fenomeno è raro tra le scimmie: ci va solo la femmina dello scimpanzé, all’incirca intorno ai 50 anni come noi. Ma è più frequente tra i cetacei del sottordine degli «odontoceti»: vanno in menopausa orche assassine e pseudorche, narvali, beluga, globicefali di Gray.

Anche questi cetacei sono riproduttivi fino alla stessa età di altre specie paragonabili, ma hanno una longevità molto superiore. Un narvalo, ad esempio, può riprodursi fino ai cinquant’anni di età ma ha un’aspettativa di vita di quasi ottant’anni. I ricercatori delle università inglesi di Exeter e York guidati dal biologo Samuel Ellis con il loro studio su Nature hanno usato la statistica e la demografia (applicata ai cetacei) per capire cosa abbia favorito lo sviluppo della menopausa. Il risultato più importante, perché finora poco compreso, consiste nella conferma dell’ipotesi cosiddetta della «estensione della vita»: le specie sviluppano la menopausa vivendo più a lungo e non accorciando l’età riproduttiva. Gli studiosi, inoltre, hanno confermato anche la cosiddetta «ipotesi della nonna»: come ipotizzato da altre ricerche, la presenza di femmine in menopausa ha un effetto stabilizzatore nella vita di un gruppo. Una femmina che non può più riprodursi non compete per il cibo e per l’accoppiamento con gli altri membri e può aiutare la propria figlia nell’allevamento dei suoi piccoli. Lo sviluppo della menopausa sarebbe dunque il risultato di un compromesso: l’individuo rinuncia a un certo numero di figli ma supporta un maggior numero di nipoti, che contribuiscono anch’essi a diffondere i geni familiari.

I ricercatori però invitano a non enfatizzare il legame tra la menopausa e la rilevanza delle nonne. L’aiuto familiare, infatti, non è una condizione sufficiente per lo sviluppo del climaterio, dato che le nonne si rivelano di sostegno anche in specie che non vanno in menopausa. Non è nemmeno necessaria: negli scimpanzé, ad esempio, le femmine adulte si allontanano dal gruppo originario e le nonne in menopausa non interagiscono granché con i nipoti.
La menopausa emergerebbe quando alla maggiore cooperazione intergenerazionale tra nonne e nipoti si somma una minore competizione tra madri e figlie. Dunque dipende dall’organizzazione del gruppo e dall’ambiente in cui vive. Beate le orche assassine.