Cultura

La memoria dolente del campo di Arbe. Una storia italiana

La memoria dolente del campo di Arbe. Una storia italianaLa baracca delle donne nel campo di Arbe

Memoria presente Gestito dal Regio esercito in Croazia tra il luglio ’42 e l’8 settembre ’43, si stima vi siano morte per fame, freddo e malattie tra le 1000 e le 1400 persone, compresi molti bambini. Un monumento edificato nel 1953 dalle autorità jugoslave ricorda le vittime. Ma nessuna istituzione o autorità italiana si è mai recata sul posto in visita ufficiale

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 26 gennaio 2021

Il campo di concentramento per internati civili di Arbe (oggi Rab, in Croazia), voluto e gestito dal Regio esercito italiano tra il luglio ’42 e l’8 settembre ’43, è stato il peggior luogo di internamento italiano della Seconda guerra mondiale. In soli 15 mesi, si stima che nel campo siano morte per fame, freddo e malattie circa 1000-1400 persone, tra cui 163 bambini. Complessivamente, per il campo sarebbero passate almeno 10 mila persone.

INTERNATI dagli italiani, in quanto partigiani, parenti di partigiani, abitanti di villaggi accusati di dare sostegno ai partigiani o di zone da sgomberare in vista della pulizia etnica, prevalentemente sloveni e croati.

Responsabile del campo, il tenente colonnello dei carabinieri reali Vincenzo Cujuli, indicato da diverse testimonianze come una persona violenta, oltre che un fervente fascista, che si aggirava con cane e frustino, assegnando punizioni anche per piccole infrazioni e che, insieme agli altri uomini del comando sottraeva il poco cibo, i pacchi e il denaro inviato agli internati. Nell’inverno del ’42, con molti internati senza vestiti e coperte, alloggiati ancora in tende, le morti erano talmente frequenti che gli stessi comandi dell’esercito ordinarono il trasferimento di donne, bambini e uomini anziani nei campi di concentramento in Italia, in particolare in quello di Gonars.

NON MOLTE LE NOTIZIE disponibili sulla figura di Cujuli. Nato a Modena l’8 luglio 1895, da genitori originari di Nocera Inferiore, dopo il trasferimento della famiglia a Roma, a 16 anni frequenta il Collegio militare e, nel maggio del 1915, con il grado di sottotenente del VI Reggimento alpini viene inviato al fronte. Ferito quasi subito nel corso di una battaglia a Pioverna Alta (Trentino), rientra a Roma, e nel 1917 passa all’Arma dei carabinieri. Nel 1920, con il grado di capitano, è addetto presso il Comando generale dell’Arma. Tre anni più tardi, nel 1923, cesserà su sua richiesta il servizio attivo tra i carabinieri. Nel frattempo, nel 1917, si è sposato con Luisa Diena, modenese figlia di Emilio Diena, tra i massimi esperti di filatelia dell’epoca, nonché tra i fondatori della Società filatelica italiana, appartenente a una famiglia di banchieri, e che dopo il 1938 colpito dalle leggi razziali sarà costretto a pubblicare i suoi scritti in forma anonima. Dopo tre anni di matrimonio, la coppia emigra in Brasile, paese da cui rientrerà in Italia solo nel 1930. Nel 1932, Cujuli viene nominato vicedirettore della rivista dei carabinieri Arma e Dovere. Infine, nel luglio del 1942, è richiamato in servizio e, come detto, nominato comandante del campo di concentramento di Arbe.

Sulle circostanze della morte di Cujuli, la versione più attendibile pare essere quella di Anton Vratuša, politico sloveno che fu anche Primo ministro del suo paese alla fine degli anni ‘70. Vratuša, arrestato dai fascisti, nel 1943 è uno degli internati di Arbe, membro della cellula del Fronte di liberazione del popolo sloveno (Osvobodilna fronta), i cui leader, all’indomani dell’8 settembre, trattarono con il comando del campo la resa del corpo di guardia, la consegna delle armi, e l’arresto del comandante Cujuli. Secondo Vratuša, dopo l’arresto e prima del processo, Cujuli si suicidò tagliandosi le vene con un rasoio da barba. Secondo altre fonti, Cujuli venne invece processato e giustiziato, mentre per altre ancora, quella dei carabinieri, sarebbe stato seviziato e ucciso dai partigiani. Certo è che il suo corpo venne sepolto – assieme a quello di un collaborazionista sloveno processato e condannato a morte – all’esterno del cimitero del campo di Arbe. Nel 1971 la salma venne rimpatriata ed oggi è sepolta presso il Sacrario dei caduti d’oltremare a Bari.

Oggi ad Arbe c’è un memoriale che ricorda le vittime del campo di concentramento: un monumento edificato nel 1953 dalle autorità jugoslave. In questo luogo non si è però mai recata in visita ufficiale nessuna istituzione o autorità italiana. E rarissime sono anche le scolaresche del nostro paese che lo hanno visitato.

SU UN MURO, all’ingresso del memoriale di Arbe, solo la lapide voluta nel 1998 dallo storico Carlo Spartaco Capogreco e dalla Fondazione internazionale Ferramonti che ricorda le sofferenze e le vittime del campo fascista, accanto a una targa più piccola e di metallo che porta la firma della sezione di Trento dell’Anpi.

«Topografia per la storia»,

L’associazione «Topografia per la storia», nel contesto della ormai decennale ricerca sui campi di concentramento e le carceri fasciste www.campifascisti.it, vuole dedicare un posto particolare al campo di Arbe. L’obiettivo del progetto per il quale si chiede il sostegno di tutti attraverso una campagna di raccolta fondi è quello di arrivare nel giugno del 2022, in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua entrata in funzione, a un sito web che contenga non solo la storia dettagliata di questo campo di concentramento italiano, ma anche un data base con i nomi degli internati e dei morti durante la prigionia. Per maggiori informazioni e per sostenere il progetto di crowdfunding si può visitare il profilo facebook dell’associazione e il sito produzionidalbasso.com.

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