La memoria collettiva parte dalla Nakba
Incontri Wasim Damash, saggista e docente di lingua e letteratura araba all’Università di Cagliari, ospite alla Settimana del libro palestinese a Roma, ripercorre i temi che imperniano la nuova letteratura
Incontri Wasim Damash, saggista e docente di lingua e letteratura araba all’Università di Cagliari, ospite alla Settimana del libro palestinese a Roma, ripercorre i temi che imperniano la nuova letteratura
«Israele distrugge la memoria storica con strumenti scientifici, con una storiografia che cancella la memoria di un luogo e la sostituisce con un’altra. Alla base sta l’importanza della conservazione della memoria collettiva di una comunità umana, quella che determina la memoria dell’uomo. Sono queste due memorie insieme che definiscono il paesaggio umano. E Israele lo sa: già nel 1902 fu creato all’interno dell’Organizzazione Sionista Mondiale un comitato dei nomi, che individuasse nuovi toponimi non solo per città e villaggi, ma anche per fiumi e valli. Il sionismo ha spezzettato la storia dell’uomo spezzando quella del luogo».
COSÌ WASIM DAMASH, saggista palestinese e docente di lingua e letteratura araba all’Università di Cagliari, ha aperto domenica scorsa la Settimana del Libro palestinese. In Campo de’ Fiori, in una libreria Fahrenheit stracolma, con Simone Sibilio (autore di Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese), Damash ha affrontato il tema centrale di quella che definisce la nuova letteratura palestinese: la memoria collettiva e individuale quale perno intorno al quale la Storia si impone, lo strumento per il radicamento e la permanenza di una narrativa.
«LA LETTERATURA è il campo che affronta tutto ciò che si svolge nella vita quotidiana, che si è svolto nel passato e che si immagina si svolgerà nel futuro – spiega – Sicuramente il tema del trauma che ha vissuto il popolo palestinese nella pulizia etnica del 1947-1949 è stato quello fondante la nuova letteratura, quella formatasi dopo il 1948. Prendendo quell’anno come spartiacque tra il prima di una normalità e il dopo di un’eccezionalità, la persistenza del trauma della Nakba ha da allora attraversato la produzione letteraria».
LA NAKBA – la cacciata di 800mila persone, l’80% dei palestinesi, dalla propria terra, e la conseguente creazione di una popolazione di rifugiati sulle ceneri di una società letteralmente distrutta – ha segnato un punto di passaggio per un popolo intero e per la regione. Ed è stato punto di passaggio anche per la letteratura, sia quella prodotta nella diaspora che quella nata all’interno dei confini della Palestina storica: «In un primo periodo i nomi più importanti sono quelli di autori rimasti in Palestina: penso a poeti come al-Qasim, Zayyad e come lo stesso Darwish e Emil Habibi, l’autore de Il Pessottimista – continua Damash – Tutti si sono mossi all’interno dei temi della nostalgia, della resistenza, della lotta all’emarginazione sociale e politica contro l’apartheid. Sono loro, prima di altri, ad aver vissuto la discriminazione razziale. Non solo i rifugiati, dunque, hanno prodotto da subito letteratura, ma anche chi si è ritrovato straniero a casa propria».
Come Damash spiega durante la presentazione, centrale è l’elaborazione della memoria collettiva dei palestinesi e della Palestina come luogo perché da decenni sotto minaccia di rimozione. Un tema che è diventato uno dei filoni delle Edizioni Q, casa editrice nata su iniziativa dello stesso Damash, che pubblica letteratura araba (per lo più siriana) e palestinese.
L’OBIETTIVO È CHIARO: ricostruire quanto è stato decostruito. «Oggi, nonostante la scomparsa di figure centrali come Jabra Ibrahim Jabra, Mahmoud Darwish e Habibi, la nuova letteratura palestinese sta vivendo un grande momento. Alcuni esempi tra tanti: Ibrahim Nasrallah, nel pieno della sua maturità produttiva, ha appena pubblicato un romanzo che definirei di fanta-socialità, una forte critica sociale espressa però in un tempo futuro; Sahar Khalifeh continua con il filone del maschilismo della società araba; o l’intramontabile Salma Khadra Jayyusi. Ad unirli è il sottofondo comune, quello dell’occupazione israeliana».
Una letteratura che cresce e vive di una particolarità unica, l’esilio, che richiede lo sforzo della memoria come fonte primaria di salvezza e rivendicazione dell’esistenza. Il percorso, compiuto da intellettuali diventati pietra angolare della narrativa palestinese, da Darwish a Kanafani, capaci di abbinare la militanza politica alla scrittura letteraria, può incidere ancora oggi sulla società palestinese, fisicamente dispersa ma tenuta insieme dalla narrazione della propria esistenza.
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