La marcia per la dignità fermata dalla polizia
Veneto La protesta di mille migranti che vogliono raggiungere Venezia. Parrocchie aperte per loro
Veneto La protesta di mille migranti che vogliono raggiungere Venezia. Parrocchie aperte per loro
Ammassati in mezzo alle campagne del Veneto più che periferico. E abbandonati al destino di rifugiati in eterna attesa. O al rischio di perdere la vita, fra una «rivolta» e l’altra.
Nell’ex base militare Silvestri nella frazione di Conetta – lembo di Veneziano al confine con la Bassa padovana – in estate erano stati censiti più di 1.400 ospiti. «Affidati» alla coop Ecofficina-Edeco, sinonimo dei coniugi Sara Felpati e Simone Borile (ex politico Dc e Fi, poi seguace di Alfano, già indagato dalla Procura su più fronti). Una cosiddetta emergenza, come sempre in questi casi. Ma dall’inerzia, più o meno istituzionale, «emergono» soprattutto due cadaveri.
Mercoledì sera un’auto ha investito e ucciso Salif Traore, ivoriano di 35 anni che pedalava lungo l’argine del Bacchiglione. Un altro è rimasto ferito in modo lieve. Volevano raggiungere insieme, con biciclette senza fanali funzionanti e privi di giubbotti catarifrangenti, le centinaia di migranti «in marcia per la dignità».
Quelli che si erano lasciati alle spalle Conetta e hanno trascorso la notte nella chiesa di Codevigo, aperta dal parroco don Michele Fanton. Assistiti dalla solidarietà di chi si è rimboccato le maniche: coperte termiche dai centri sociali, torce o tende dalla gente, cibo e bevande calde grazie alla Caritas. Chiesa riscaldata, servizi igienici a disposizione e accoglienza: all’alba, i migranti hanno così provveduto alla pulizia, lasciando tutto in ordine.
Lunedì 2 gennaio in uno dei bagni di Conetta, invece, era spirata in modo atroce Sandrine Bakayoko, 25 anni, anche lei ivoriana: tromboembolia polmonare bilaterale fulminante come recita l’autopsia. Era approdata in Italia il 30 agosto 2016, insieme al suo compagno Mohamed, con un barcone salpato dalla Libia. Sognava di diventare parrucchiera. L’hanno pianta nella chiesa metodista evangelica di Padova, insieme alla pastora Ulrike Jourdan. È sepolta a Piove di Sacco, grazie alla sensibilità del sindaco Davide Gianella. Già allora il «caso Cona» era rimbalzato fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Ma dopo dieci mesi nulla è cambiato. E sono ricominciate le proteste per le condizioni di vita inaccettabili: freddo e umido negli hangar trasformati in dormitori, burocrazia elefantiaca, attività o corsi di italiano abborracciati, isolamento quotidiano in una prigione di fatto. Da tempo, si vociferava di una «marcia a Venezia». Lunedì il primo tentativo lungo la statale Romea, bloccato dalle forze dell’ordine. Poi è arrivato il vicario del prefetto, Sebastiano Cento. I migranti avevano iniziato a dormire nei bus: sempre meglio delle tende di naylon. La trattativa ha coinvolto per due giorni il questore Vito Danilo Gagliardi e il prefetto Carlo Boffi, ma alla fine altre decine di ospiti di Conetta sono usciti con la valigia o in bicicletta. La marcia era cominciata: prima tappa a Codevigo.
Ieri mattina è ripartita, lungo gli argini del Brenta per non bloccare il traffico. Nel corteo spiccavano le bandiere dell’Usb e la presenza di attivisti. La mèta dichiarata della giornata è Mira con la volontà di raggiungere comunque la prefettura in piazza san Marco. Invece, percorsi circa sei chilometri la «marcia della dignità« si è arrestata di fronte allo spiegamento di forze della polizia.
Kaba, profugo dalla Guinea, in francese interpreta lo spirito della protesta: «Troppe volte ci hanno promesso che sarebbe cambiata la situazione. Ma tutti aspettiamo più o meno da un anno il permesso di soggiorno e a Cona non facciamo niente se non dormire e mangiare. Niente italiano, niente lavoro, niente integrazione. Adesso basta. Non vogliamo creare problemi, ma arrivare fino a Venezia».
Un bel rebus che non si risolve certo con il trasferimento di 15 (su 1.100…) richiedenti asilo in altre strutture. E che mette spalle al muro Borile & C nella gestione del loro business senza troppi scrupoli. Tanto più che con i migranti c’è addirittura il patriarca Francesco Moraglia: ha disposto l’apertura straordinaria delle parrocchie di Mira e Oriago in modo da assicurare ristoro e riparo. Un segnale inequivocabile.
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