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La “Marcia del Milione” contro il blocco di Gaza

La “Marcia del Milione” contro il blocco di Gaza

Gaza Oggi decine di migliaia di palestinesi si raduneranno lungo le linee con Israele nel primo anniversario della Grande Marcia del Ritorno. Si teme un massacro. L'esercito israeliano ha schierato ingenti forze militari. Molto dipenderà dalla chiusura nelle prossime ore di un accordo di cessate il fuoco tra Hamas e lo Stato ebraico.

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 30 marzo 2019

La Striscia di Gaza si prepara a vivere oggi una delle sue giornate più importanti, si teme tra le più drammatiche, dalla fine dell’offensiva militare israeliana “Margine Protettivo” quasi cinque anni fa. È il 43esimo anniversario del “Giorno della Terra” che ricorda le sei vittime palestinesi in Galilea durante le proteste contro la confisca delle terre arabe. Ma per i due milioni e passa di palestinesi che vivono in questa lingua di terra più di ogni altra cosa è il primo anniversario della “Grande Marcia del Ritorno”, la protesta popolare contro il blocco israeliano di Gaza. Decine di migliaia di palestinesi, qualcuno azzarda centomila, oggi raggiungeranno i cinque accampamenti di tende allestiti nella fascia orientale di Gaza, ad alcune centinaia di metri dalle barriere di demarcazione con Israele, per affermare che gli oltre 250 uccisi e le migliaia di feriti (dozzine dei quali hanno subito amputazioni) dal fuoco dei tiratori scelti dell’esercito israeliano durante le manifestazioni settimanali tenute da un anno a questa parte, non hanno affievolito il desiderio di spezzare la morsa che strangola la Striscia da oltre 12 anni e di vivere una vita degna di questo nome.

Un nuovo bagno di sangue è possibile. Anzi probabile prevedono molti considerando lo schieramento di forze militari che Israele ha messo in piedi negli ultimi giorni a ridosso di Gaza. Nei cinque accampamenti sono stati allestiti ospedali da campo. Medici e paramedici si preparano a ricevere negli ospedali un numero eccezionalmente alto di feriti. Come finirà la giornata lo decideranno i comandi militari israeliani e il risultato della mediazione egiziana per un accordo di cessate il fuoco di lunga durata tra Hamas e Israele (di cui si parla dall’anno scorso). È stato esplicito ieri Ismail Haniyeh, il capo del movimento islamico Hamas al potere a Gaza che ormai tiene nelle sue mani il volante della Marcia del Ritorno limitandone il carattere spontaneo che aveva avuto il 30 marzo di un anno fa e nei mesi successivi. Haniyeh ha spiegato che la situazione «è a un bivio». In sostanza se ci sarà un’intesa con Israele le forze di sicurezza di Hamas terranno i dimostranti lontano – a 300 metri secondo le notizie circolate – dalle barriere di demarcazione. Il Jihad, l’altra organizzazione islamista, ha chiesto ai dimostranti «di salvaguardare la propria incolumità». Se le trattative falliranno le proteste potrebbero essere lasciate libere. L’esercito israeliano è pronto ad usare la forza contro chi si avvicinerà alle barriere.

Ieri si parlava di una bozza di intesa tra le parti. Oltre all’aumento del numero di camion e merci che da Israele entrano a Gaza e all’estensione della zona di pesca a 12 miglia, prevede, secondo le anticipazioni circolate, anche l’aumento delle forniture elettriche a Gaza, l’allentamento delle restrizioni israeliane all’importazione ed esportazione delle merci palestinesi e la ripresa dei trasferimenti di fondi (del Qatar) verso la Striscia. In cambio Hamas dovrebbe fermare il lancio di razzi e tenere lontano dalle linee con Israele le future manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Però non è stata finalizzata. Colleghi palestinesi ci riferivano del pessimismo espresso da un dirigente di Hamas, Ghazi Hamad. Il movimento islamico – ha spiegato Hamad – vuole un’intesa nero su bianco, con impegni ben definiti per entrambe le parti durante la tregua. Israele non va oltre le promesse verbali, alternandole a minacce di guerra in caso di mancato accordo. Il premier Netanyahu, nel pieno della campagna per le elezioni del 9 aprile, non ha alcuna intenzione di mostrarsi “dialogante” con Hamas.
Sullo sfondo c’è la frustrazione dei giovani palestinesi con meno di venti anni che a Gaza sono la metà della popolazione. Maher Abu Samadana, di Rafah ma studente a Gaza city, non segue l’andamento della mediazione egiziana. Non ha mai avuto un lavoro e non pensa che riuscirà ad averne uno vero nei prossimi anni. Si sente chiuso in gabbia. «Non ho nulla da perdere» ci spiega rappresentando tanti altri ragazzi di Gaza, «per me la Marcia del Ritorno è l’unica possibilità di svolta verso la libertà. Se non spezzeremo l’assedio non avremo mai una vita diversa». Maher oggi sarà all’accampamento “Al Malaka” assieme ai suoi amici. «Non ho paura di morire» afferma. Alla manifestazione non parteciperà Ali Abu Sheikh, 24 anni, del gruppo “We are not numbers” che racconta sui social la condizione difficile ma anche le capacità dei civili di Gaza, oltre le notizie diffuse dai media. «Ero entusiasta della Marcia del Ritorno – ci spiega – Mi affascinava il progetto, amavo la sua dimensione popolare. Negli accampamenti prima delle manifestazioni si faceva cultura, si giocava con i bambini, si discuteva di tutto. Era importante». Ora, aggiunge, «la Marcia è segnata dalle manovre politiche di questa o di quella parte, mentre Israele non cessa l’occupazione e tiene la nostra terra stretta nell’assedio».

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