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La maratona di Draghi

La maratona di DraghiMario Draghi ieri alla camera dei deputati – LaPresse

Il dibattito in aula Il governo incassa la terza fiducia per ampiezza della Repubblica. Il presidente del Consiglio per tutto il giorno prende appunti e non si distrae mai, neanche quando riceve la telefonata del figlio. E nella replica allarga la sua agenda. Adesso parla anche di giustizia e di carcere

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 19 febbraio 2021

Alle nove e quaranta di sera il risultato del voto, per gli archivi: 535 sì, 56 no e 5 astenuti. Alla camera dei deputati non è il governo con la maggioranza più ampia della Repubblica ma solo il terzo (dietro Monti e AndreottiIV). La mozione di fiducia della nuova alleanza extralarge è stringata, come al senato. Anche se i 5 Stelle avrebbero voluto metterci qualche cosa in più, qualche prudenza. Perché alla fine tra i grillini si sfilano in tanti, più di trenta. Tra contrari (16), astenuti (4), assenti (12) e in missione (2).

Alle nove del mattino Mario Draghi entra per la sua prima volta nell’aula della camera dei deputati e va direttamente al banco del governo, al posto centrale. Si sistema come alla scrivania. Apre la cartellina e ne tira fuori l’ordine degli interventi, stappa la stilografica e comincia a prendere appunti. Ha anche un iPhone, ma lo usa come fermacarte. Mentre accanto a lui Di Maio, Franceschini, Garavaglia e anche Lamorgese si aggrappano alle app per sopravvivere alle ore di dibattito, il presidente del Consiglio non tocca il telefono. Se non per rifiutare la chiamata quando all’improvviso il fermacarte vibra. Il presidente ha anche lo smart watch coordinato, i fotografi hanno i teleobiettivi così gli si legge al polso chi lo cerca mentre tutta Italia sa che ha altro da fare. È «Giacomo», il nome di suo figlio.

Draghi ascolta tutti, girandosi sul posto nella direzione di chi interviene. Alla fine ringrazia sempre con un cenno del capo. Del resto quasi tutti lo elogiano, tranne fratelli d’Italia e i grillini del no. Ma quelli solo alla fine. I ministri, sfiancati, vanno via a turno (i turni li ha fatti D’Incà) e lasciano il posto ai colleghi. Il ministro Giovannini invade il suo spazio con le carte e i dossier e, malgrado il distanziamento, anche quello di Carfagna che gli sta a destra. Speranza arriva nel pomeriggio con un solo documento da studiare, pieno di grafici, ma c’è una processione di deputati che vogliono parlargli e lo distraggono. Alle tre meno un quarto compare anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Garofoli che così può staccarsi qualche ora dalla giostra dei sottosegretari. Custodisce lui l’elenco vero, il più aggiornato, tutti gli altri fanno girare su whattsap solo bozze già vecchie. O nuove speranze. Cerchez la femme.

Giachetti dice a Draghi che lui è meglio di Baggio perché è come Totti (sono romanisti). Fiano avverte che il Pd non potrà «abbandonare sine die» la questione della legge elettorale. Cunial, ex grillina ma ancora dissidente, veneta, pronuncia male che Draghi è «la troika de’ noantri». Il radicale di +Europa Magi chiede al presidente attenzione per le carceri e di riconoscere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki. Draghi segue, segna qualcosa, saluta alla fine di ogni intervento. Si distrae solo quando parla il leghista Borghi ma lo fa apposta perché teme quello che può dire. Infatti Borghi tira fuori venti euro e grida: «La firma è il segno di chi crea e qui leggo la sua… tradisca il tricolore e saremo implacabili!».

Alla quattro Draghi porta via la sua cartellina, alle sei ricompare con una mascherina nuova, non più bianca ma azzurra della presidenza del Consiglio. Nel frattempo, a pochi metri da Montecitorio e dietro un doppio cordone di forze dell’ordine decisamente eccessivo, un centinaio di bandiere rosse e falci e martello punteggiano la prima manifestazione contro il nuovo governo. La replica di Draghi ai deputati dura 14 minuti, il tempo di sistemare l’audio. Dice che di alcuni temi non parla – fisco, turismo -perché l’ha già fatto al senato. Altri non li ha citati, tipo lo sport, «ma questo non vuol dire che non sia importante». Comincia dall’attenzione alle piccole e medie imprese che, spiega, vanno aiutate a quotarsi in borsa. Passa poi alla corruzione, lo hanno accusato di aver sorvolato sulla legalità. Ma è ovvio, «se manca quella base…». A volte lo si coglie ridere con gli occhi, sopra la maschera. Parla anche – è la vera novità – di giustizia penale: serve un processo «che rispetti tutte le garanzie e i principi costituzionali, giusto e di durata ragionevole». Nelle repliche questo sembra poco a Italia viva. «Serve una svolta culturale sulla giustizia», dice Boschi. E alla Lega. «Di prescrizione si deve parlare», dice Molinari. Sembra troppo ai 5 Stelle: «Forse lei non sa che ci sono i nostri disegni di legge, non arretreremo», dice Crippa. Che ripete come a se stesso: «Siamo ancora il primo gruppo in quest’aula».Draghi non dimentica le carceri e chi ci vive o lavora «esposti al rischio e alla paura del contagio» in ambienti «spesso sovraffollati».

Il capogruppo di Leu Fornaro dice che «c’è un tempo per la propaganda e un tempo per governare». Fratoianni, unico del gruppo, deve intervenire nello spazio finale del dissenso: «Il no è una scelta del mio partito, non individuale». Meloni cita Brecht. Draghi conclude così: «Bene, spero condividiate questo sguardo rivolto al futuro».

Zingaretti nel pomeriggio spiega di aver conosciuto Zingaretti solo qualche giorno fa, «gli ho detto basta battute». Ieri Salvini ha fatto la prima dichiarazione alle 8 del mattino su Telelombardia, sul Covid, e l’ultima alle 8 di sera chiedendo, da Catania, sottosegretari siciliani. In mezzo ha parlato di Cannabis, Alex Schwarz, famiglia, lavoro, ponte di Messina, rimpatri, tifo calcistico, amministrative, rimpatri, nuovi acquisti nel gruppo della Lega. E virologi che parlano troppo.

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