La mappa dettagliata di una storia più lunga ma ordinata in «tre anime»
SCAFFALE «Si fa presto a dire sinistra», un libro di Salvatore Cannavò edito da Piemme
SCAFFALE «Si fa presto a dire sinistra», un libro di Salvatore Cannavò edito da Piemme
Salvatore Cannavò, nel suo recente Si fa presto a dire sinistra (Piemme editore, pp. 240, euro 18,90), parte dalla Rivoluzione Francese, richiamando alcune interpretazioni che hanno individuato le tre diverse «sinistre» formatesi in quel cruciale passaggio storico: una sinistra «liberale», una sinistra «democratica» e una sinistra «socialista».
È una distinzione che, da allora, ha attraversato la storia della sinistra, in forme contraddittorie, e non senza sovrapposizioni tra l’una e l’altra; e che Cannavò assume oggi come traccia per analizzare le tre diverse «anime in cerca di identità» (come recita il sottotitolo) della sinistra italiana: il Pd, il M5S e la sinistra radicale. Una traccia che riprende anche un’analisi proposta dal sociologo Domenico De Masi, dopo le ultime elezioni. Cannavò ricostruisce le vicende della sinistra italiana, vicende che un lettore informato magari conosce già o ha vissuto, ma che sono rimesse in ordine dall’autore, collocate e interpretate nella loro corretta prospettiva storica, consentendo così di rivolgersi a questo passato con uno sguardo unitario (aiutandolo anche a ricordare molti passaggi oggi poco noti, se non tra gli addetti ai lavori).
I TRE CAPITOLI CENTRALI del libro sono dedicati rispettivamente al Pd, al M5S e ad un’utilissima ricostruzione delle travagliate vicende della sinistra radicale (da Rifondazione alla Sinistra Arcobaleno, e via via fino a oggi: una mappa molto dettagliata). Il tutto però è preceduto da un prezioso capitolo sulla destra che oggi abbiamo di fronte: per «capire che tipo di destra l’Italia abbia partorito», la trama ideologica su cui ha costruito il suo consenso nel paese (non solo il vecchio armamentario fascista, ma anche un neo-conservatorismo radicale che ha i suoi mentori in alcuni intellettuali della destra americana e britannica). Altrettanto preziosa è la parte conclusiva, dove si propone una sintesi dei campi tematici su cui un pensiero critico della sinistra si sta già ricostruendo ma senza aver ancora trovato il soggetto politico che possa rendere queste elaborazioni un patrimonio diffuso.
CAMPI TEMATICI DIVERSI, ma che muovono da un comune e imprescindibile presupposto, quello di una rinnovata analisi critica del capitalismo, che nessuna sinistra – si potrebbe aggiungere, nemmeno quella «liberale» o «democratica» – possono oggi eludere: una cornice dentro cui tornare a porre al centro il valore e la dignità del lavoro, la questione ambientale, le questioni di genere e, in generale, il grande tema della «libertà sociale», ovvero le condizioni che rendono oggi più mai attuale la grande triade del 1789.
In mezzo, tra lo scenario cupo di una destra in grado di farsi egemone nel senso comune e un promettente pensiero critico della sinistra ancora in cerca però dei modi con cui «farsi politica», troviamo appunto i tre capitoli dedicati alle «tre anime» della sinistra italiana. Il capitolo sul Pd ripropone accuratamente i termini del dibattito e delle analisi pre- e post-congressuali su questo partito e analizza anche la «novità Schlein», con tutte le incognite che essa ancora pone.
A QUESTO PROPOSITO Cannavò nota giustamente come oggi la «dinamica più interessante in corso» sia proprio quella della «sfida ‘democratica’ di Schlein alla componente liberale del proprio partito». Il capitolo sul M5S si raccomanda per una ricostruzione puntuale della storia di questo strano «non-partito» e del suo incerto profilo ideologico: una lettura da consigliare ai frettolosi cantori della sempre imminente implosione che avrebbe dovuto, già più volte, affondare questo soggetto politico.
Mentre, per quanto riguarda la sinistra radicale, dalla ricostruzione di Cannavò emerge una pervicace tendenza (quasi una «malattia mortale», si potrebbe dire), che ha caratterizzato questa sinistra: trasporre sempre le naturali diversità politiche in una dimensione identitaria dalle immediate ricadute organizzative ed elettorali.
Naturalmente, su questo o quel singolo giudizio di Cannavò, si può sempre discutere: non sempre, ad esempio, a proposito del Pd, si rifugge dalla tentazione di uno sguardo storicistico «a ritroso», alla ricerca del punto in cui «inizia la fine» (la Bolognina? O forse c’è stato qualcosa prima, o dopo?). O ancora, non ci pare inevitabile «la rotta di collisione/competizione» tra il M5S e la nuova segreteria del Pd: semmai, si potrebbe dire (accogliendo proprio l’iniziale suggestione di De Masi) che ci possa essere una potenziale complementarietà, o un’auspicabile gara di emulazione, nel cercare di recuperare dal grande bacino dell’astensionismo. Ma sono interrogativi che, ovviamente, non sminuiscono il valore del libro, e che anzi contribuiscono a rendere la sua lettura ricca di spunti per una riflessione critica che ha ancora molto lavoro dinanzi a sé.
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