La magia del teatro. Eduardo traduce il Bardo in napoletano
Teatro È andata in scena «La tempesta» di Shakespeare riscritta nel 1983 con il fascino di un antico dialetto
Teatro È andata in scena «La tempesta» di Shakespeare riscritta nel 1983 con il fascino di un antico dialetto
A volte gli spettacoli realizzati da artisti giovani (ancora formalmente «allievi») risultano riusciti e accattivanti quasi più di altri che pure sfoggiano «grandi nomi». L’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, dopo i due spettacoli presentati con successo il mese scorso a Spoleto (Sarto per signora con la regia di Carlo Cecchi e Il male sacro reinventato da Antonio Latella) ha mandato ora in scena, con la supervisione di Arturo Cirillo, un «saggio» dei suoi allievi del corso biennale, dal regista Andrea Lucchetta ai numerosi attori (unica eccezione Antonio Odierna, poco più grande, che una decina d’anni fa fu voluto da Luca Ronconi quale «padre» nella sua personale e perturbante rilettura dei Sei personaggi pirandelliani).
IN SCENA nello spazio erboso estivo del Globe Theatre a villa Borghese (quello ligneo originale risulta ancora inagibile dopo il parziale crollo di qualche tempo fa) ha preso così vita un «classico al quadrato«, se così si può dire della shakespeariana Tempesta riscritta in napoletano antico da Eduardo De Filippo.
A interpretarla gli allievi dell’Accademia nazionale Silvio D’Amico
Il grande artista napoletano la compose nel 1983, poco prima di morire, in qualche modo ispirato (se non addirittura a loro «destinandola») dai ragazzi ospiti del carcere minorile di Nisida, con i quali aveva intrapreso un meraviglioso percorso, umano e artistico. Senza modernizzare affatto il testo, anzi riesumando una lingua affascinante in qualche modo a Shakespeare contemporanea, un napoletano seicentesco che pure punge ed emoziona in quel meraviglioso gioco tra bene e male che della Tempesta è il segno più coinvolgente. Di quella formidabile traduzione non c’è mai stata realizzazione scenica pubblica, Eduardo stesso ne registrò solo una lettura che accompagnava la messinscena da parte delle marionette dei fratelli Colla.
QUESTO è quindi un «debutto», e quelle parole sono insieme sorprendenti e fascinosamente «giuste», seppure abbiano il respiro e la scansione di una lingua di cinque secoli fa. O forse proprio per quello. La «favola» di Shakespeare è del resto una grande rappresentazione dell’umanità e del mondo, del bene e del male, che solo il «perdono», in una ricomposizione di diritti e affetti, può superare e sciogliere nelle sue energie migliori, e ovviamente nell’happy end che si apre a quei personaggi sospesi, quasi incarcerati, nella propria storia e nella propria coscienza. A parte naturalmente Ariel e Calibano, le due creature «magiche», una buona l’altra cattiva, che hanno però la forza e la potenza delle proprie «storie» e origini, e quindi destinate a dar corpo e respiro alla ricostruzione di affetti e valori da parte di Prospero (con saggezza e severa bonomìa interpretato appunto da Odierna).
I PERSONAGGI, dai nobili parenti traditori al piccolo profittatore Trinculo con il suo compare, offrono il destro per riaffermare, senza moralismi, diritti e valori della convivenza civile. Ed è quasi stupefacente come i giovanissimi attori padroneggino quella lingua, senza essere molti di loro neanche napoletani. Forse perché quella scrittura di Eduardo è già di per sé teatro, elaborazione e consapevolezza di come un suono o un accento può già fare teatro. Un teatro, come notoriamente dice Prospero, fatto della stessa sostanza dei sogni. Una magia, appunto.
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