La magia bianca del presidente
Totoquirinale Mattarella prima e ultima scelta. Per eleggerlo domani, alla quarta votazione. Renzi si gioca tutto e Berlusconi non lo segue. Come nel 2006 bisognerà passare per tre scrutini a vuoto. Dove trionfano le schede senza espressione di voto e si dà spazio alle frustrazioni
Totoquirinale Mattarella prima e ultima scelta. Per eleggerlo domani, alla quarta votazione. Renzi si gioca tutto e Berlusconi non lo segue. Come nel 2006 bisognerà passare per tre scrutini a vuoto. Dove trionfano le schede senza espressione di voto e si dà spazio alle frustrazioni
La serie di votazioni che porterà all’elezione del palermitano Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica inizia dieci minuti dopo le tre del pomeriggio con la chiamata di una deputata che più lombarda non si può, Brambilla. L’ex ministra berlusconiana è la prima ma non risponde, non c’è. Quella che potrebbe essere l’ultima eccessiva e prolissa cerimonia di nomina del capo dello stato – tra sette anni i senatori dovrebbero essere ridotti a cento e i delegati regionali aboliti, in teoria – si trascina sempre uguale per quattro ore e quindici minuti, praticamente identica questa volta a quella di nove anni fa, la prima elezione di Napolitano. Anche allora il centrosinistra puntò da subito su Napolitano, lo impose a Berlusconi senza esporlo sulla scheda fino alla quarta votazione. Perfino Renzi ha imparato qualcosa dai vecchi capi dell’Unione artefici di quella vittoria, Rutelli, Fassino e Prodi. Berlusconi invece pare destinato a ripetere gli stessi errori.
È l’ex Cavaliere il mistero del giorno. Era intenzionato a reggere il gioco del patto del Nazareno fino all’ultimo, fino a quando Renzi non ha scandito ufficialmente il nome di Sergio Mattarella candidato – e tutti, innanzitutto Berlusconi, lo sapevano con certezza da 24 ore – davanti ai grandi elettori del Pd. Il premier lo ha fatto votare all’unanimità dai suoi ma, più accorto di Bersani, in diretta streaming e chiarendo: «Sarà il nostro candidato fino alla fine». Niente cambi. Mattarella è il nome giusto per Renzi perché si può raccontare bene al paese. E chi dice che i due non hanno niente in comune, si conoscono a stento, dimentica che durante la campagna elettorale per le primarie Pd del 2012 Renzi attaccò Bersani proprio nel nome della famiglia Mattarella. Era successo che l’allora leader si era complimentato con Crocetta per la «prima storica vittoria in Sicilia» e che la parte ex democristiana del Pd, in prima fila Renzi, lo aveva accusato di dimenticare la gloriosa figura di Piersanti, presidente della regione e vittima di Cosa nostra.
«Sergio è un giudice costituzionale, un difensore della Costituzione che però non ne sostiene l’intangibilità», dice Renzi ai suoi grandi elettori e a tutti quelli che lo ascoltano in streaming. E chissà se al capo del governo hanno portato quei vecchi articoli in cui Mattarella si schierava per l’elezione diretta del presidente della Repubblica. «Sergio è il padre di una legge elettorale che ha il merito di aver messo al centro il collegio», aggiunge Renzi che, si sa, sostiene contro ogni evidenza che anche il suo Italicum funzionerà allo stesso modo. «Sergio avrà la schiena dritta e saprà dire anche dei no», no che dovrebbe dire a lui che lo ha eletto. Quelli che Napolitano non riusciva più a dire.
Appena i deputati si accorgono dell’ingresso in aula di Giorgio Napolitano scattano in piedi ad applaudire. Non tutti, a destra restano seduti, leghisiti e 5 stelle tentano un coretto «vergogna, vergogna» che però si intuisce appena. Deputati, senatori e delegati regionali del Pd strafanno, mettendosi in fila per un selfie con l’ex presidente. Poi lo accompagnano all’urna – è tra i primissimi a votare – battendo le mani a ritmo. È allora che i leghisti tirano fuori le fotocopie della copertina storica del manifesto del 28 giugno 1983, «Non moriremo democristiani» (che aveva un sottotitolo: «Se questo terremoto sveglia Pci e Psi»).
Molti deputati del Pd prendono la scheda dai commessi e cominciano a piegarla fuori dal seggio «catafalco», così che non ci siano dubbi che la lasceranno bianca. Bersani manca le prime due chiamate, poi si inserisce quando ormai l’aula è quasi vuota, non piega la scheda all’aperto ma entra e esce dal seggio in un secondo, e appena fuori trova il deputato da avanspettacolo Razzi che vuole fargli tanti complimenti e lo agguanta per un po’. Due anni fa fu un abbraccio con Alfano nella stessa posizione dell’emiciclo che condannò l’allora segretario Pd. Ma oggi gli obiettivi non lo inseguono più.
Berlusconi potrebbe ricorrere a un accorgimento simile per la quarta votazione. Lo fece anche nel 2006, quando impose ai suoi grandi elettori di passare nel seggio a passo di carica per essere sicuro che votassero scheda bianca. Altrimenti dovrà scegliere di abbandonare l’aula, perché troppo forte è il rischio che una quarantina dei suoi, per assestargli il colpo di grazia, decidano di votare Mattarella nel segreto dell’urna, così da metter in banca la vittoria di Renzi e la sconfitta finale del vecchio padre padrone. Ma cominciare una nuova storia con un nuovo presidente con un gesto di irrispettosa rottura sarebbe troppo, anche per l’ex Cavaliere. Soprattutto considerando che fino all’ultimo minuto, magari fino a quando non ha sentito gli entusiasti del Pd parlare dell’elezione come cosa già fatta, e l’ala sinistra dei democratici esultare per la fine del patto del Nazareno, Berlusconi era intenzionato a farlo votare, Mattarella.
Adesso non si vede come possa recuperare quel rapporto con il giovane premier che lo ha tenuto in piedi, malgrado la condanna, l’espulsione dal parlamento, la scissione subita e i voti persi. Per quanto in mano gli sia rimasto poco, è tutto quello che ha: allontanare le elezioni, vedere quel che riesce ad ottenere con la delega fiscale. La minaccia di ritorsione sulle riforme presuppone la tenuta dei suoi gruppi, e nel caso della riforma elettorale, che l’Italicum torni al senato (non è impossibile) dove Forza Italia potrebbe ancora essere determinante nel caso non si risani la spaccatura nel Pd. Da domani però la storia potrebbe essere diversa anche nel partito democratico.
L’ultimo brivido è allora per la conta di sabato mattina. Sulla carta Mattarella ha tutti i voti che servono: i 444 del Pd più i 33 di Sel, 32 di Scelta civica e una quarantina del gruppo delle Autonomie. Qualcosa in più può arrivare dagli ex grillini o dai franchi tiratori del Ncd e di Forza Italia. La soglia dei 505 voti necessari è abbondantemente alla portata. A Napolitano nove anni fa bastarono 543 voti. Le due conte di oggi non offriranno sorprese. I voti di quello che è stato il patto del Nazareno ieri sono finiti in 538 schede bianche, 33 nulle, 32 assenti, 25 Bonino e una miriade di voti dispersi, burle, segnali di disperazione.
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