Un’orchestra polifonica di cinguettii e il profumo salmastro di bosco marittimo accolgono chi si ritrova, a piedi o in bici, nel cuore della macchia mediterranea. Questo è senza dubbio uno degli ecosistemi più ricchi della penisola. È accompagnato spesso da dune e ricoperto da una fitta vegetazione, alta e bassa. Ripara l’interno dai venti carichi di salsedine, tiene ferma la sabbia limitando l’erosione della spiaggia. Ma è anche selvaggia, ispida e disordinata, almeno dal punto di vista dell’ordine umano.

Va da sé che l’animale più autoreferenziale e predatore del pianeta, l’uomo, cerchi di riorganizzare quest’ordine, metterlo a sistema e addomesticarlo. O almeno così si illude. È così che un giorno di qualche settimana fa ci siamo svegliati tutti più poveri. È in questo modo che nel comune di Fiumicino, sul litorale di Fregene, mentre gli uccelli nidificavano, i rettili deponevano le loro uova nella sabbia, gli insetti proliferavano indisturbati, 20 mila metri quadrati circa (2 ettari) di macchia mediterranea sono stati rasi al suolo, e sull’unica duna rimasta nella zona sono passate le ruspe. Da anni il comitato di cittadini Difendi Fregene urla ciò che ora è accaduto, completamente, o quasi, inascoltato. Cercando di difendere il bosco da un progetto di almeno dieci anni fa. «Macchia mediterranea ne è rimasta pochissima, le dune sparite», commentano dal comitato, «invece di preservare ciò che abbiamo si fanno colate di asfalto e cemento. Tutta Fregene è stata cementificata».

UN ECOSISTEMA SENZA ETÀ, quello della macchia mediterranea, che si è formato nei secoli, sempre più ridotto; ricco di varietà come lecci, corbezzoli, ginestre e ginepri, oltre ad una quantità di uccelli, rettili e insetti. Tra le varie specie di uccelli che frequentano il litorale è certa la presenza di silvidi nidificanti, come la sterpazzolina, e tutta la costa è interessata dalla sosta di numerose specie, tra le quali i limicoli hanno il rilievo più importante. Secondo il “dossier coste”,di WWF, inoltre, su quasi 8000 chilometri di litorale rimangono solo 300 dune selvagge.
Ora, su quella che era chiamata la “Lente” di Fregene, per la sua forma appunto di lente, c’è un cantiere: container, camion, una grande recinzione metallica. Sono previsti parcheggi, zone commerciali e residenziali, campi sportivi. E tutto a norma di legge. «C’erano dei sentieri, attraverso la duna, che portavano alla spiaggia», ricordano i cittadini del comitato Difendi Fregene, «li abbiamo percorsi da sempre. Oggi al loro posto ci sono grandi strade asfaltate, che oltretutto non portano neanche al mare perché questo è chiuso dagli stabilimenti. Da anni il mare dalla strada non si vede più». Ormai è tardi per quel tratto di macchia mediterranea, per i cinguettii degli uccelli e il brulichio degli insetti, per i rettili e per l’equilibrio spezzato di quell’ecosistema. Ora è rimasto il cemento muto, e il rombo delle ruspe. Tutto a norma di legge.

LA MACCHIA MEDITERRANEA ABBATTUTA è stata “compensata” con la piantumazione di 5 ettari e mezzo di piante autoctone, a circa un chilometro all’interno della costa, a fianco della Foresta Monumentale di Fregene, riserva naturale, come se si potesse ricostruire un ecosistema secolare. E tutto a norma di legge. A quanto pare l’edificazione presentata nei progetti, poi parzialmente modificata secondo le disposizioni, le condizioni e i vincoli delle varie soprintendenze e uffici, appariva «continua, massiccia ed estesa, in aperto contrasto con la tendenza attuale al contenimento del consumo di suolo», si legge nel documento di compatibilità paesaggistica del 2017, della soprintendenza competente per il paesaggio, che ha infine dato parere favorevole, «finalizzato al contrasto di un irreversibile e gravissimo danno ambientale che già ha interessato la quasi totalità dei territori pianeggianti e anche collinari a rischio idrogeologico del Paese. Le opere di compensazione», continua il documento, «consistenti in piantumazione di essenze arboree in altra e distinta zona (già verde ed inedificabile), prescritte dalla Regione Lazio non possono di certo configurarsi come riparazione al danno ambientale e paesaggistico provocato dalla realizzazione di un intervento edilizio di tale portata».

INSOMMA TUTTI CONTRARI, ma la duna è sparita e la macchia abbattuta, tranne alcune centinaia di piante ritrapiantate nella zona di rimboschimento compensativo, denominata Cecina di Falce.

Inoltre la zona già da molti anni è finita nel mirino di costruttori e impresari del pubblico divertimento: la spiaggia è ormai del tutto custodita da una cintura di stabilimenti, che ne impediscono la vista. Anche il passaggio per arrivare alle “spiagge libere” è consentito tramite cancelli degli stabilimenti. «Tutta l’operazione ha avuto lo scopo di preservare la foresta monumentale», spiega l’agronomo forestale che ha realizzato il progetto di rimboschimento, «la parte di macchia mediterranea oggetto di edificazione era abbandonata e degradata, quindi si è scelto di tutelare ciò che poteva sopravvivere creandovi una zona laterale a salvaguardia».

ANCHE L’ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA del paesaggio Italia Nostra condanna il fatto: «Desta profonda pena e sconcerto assistere a un’operazione di “urbanizzazione” di una delle pochissime aree naturali sopravvissute sul “lungomuro” di Fregene, dove la fascia litoranea è completamente occupata, con le case da una parte e gli implacabili stabilimenti balneari dall’altra», commenta Anna Longo, vice presidente di Italia Nostra Litorale Romano e autrice, insieme a Romano Puglisi, del libro Fellini guarda il mare, «proprio la lente costituiva un momento di respiro, un bel tratto di paesaggio profumato, per sentirsi almeno un po’ in natura. È stata violentata anche questa preziosa macchia mediterranea, nonostante le normative di tutela, a livello italiano e comunitario. Sono scelte che poggiano su una visione anacronistica, la stessa che permette di progettare ben due porti per navi da crociera a Fiumicino. Un errore è stato non includere nella Riserva Naturale del Litorale Romano tutta la fascia di costa, in modo da vincolare i tratti superstiti come “La Lente”. Per questo motivo», continua Anna Longo, «Italia Nostra e altre associazioni hanno chiesto la riperimetrazione e l’istituzione di aree di rispetto. La questione della cosiddetta compensazione in un caso come questo appare paradossale: perché distruggere quello che abbiamo di più prezioso per fare migliorie altrove? Sarebbe il caso piuttosto di fermare radicalmente il consumo di suolo e di prendersi cura dei nostri alberi invece di abbatterli».