Per l’osservatore distratto della politica, il senatore a vita è una figura tranquilla, poco più che ornamentale, certamente pacificata e spesso noiosa. Ma non è proprio così, se si pensa che l’istituzione di questa carica è passata attraverso combattutissime sedute della Costituente (protagonisti il democristiano Alberti, l’azionista Lussu e i comunisti Terracini e Togliatti), negli anni Ottanta del secolo scorso due presidenti della Repubblica (Pertini e Cossiga) hanno stravolto regole e prassi per nominarsi ciascuno qualche senatore in più, e nei primi anni Duemila per il loro peso decisivo nel sostegno al governo di centrosinistra i senatori a vita sono finiti al centro di polemiche e attacchi furibondi. Più di una volta sono arrivate proposte per abolire queste figure, in fondo un’eredità del Regno e dello Statuto Albertino, ed è quello che andrebbe fatto ancora adesso secondo il senatore Pierferdinando Casini che parlamentare quasi a vita lo è (ininterrottamente da 40 anni) ma per mandato elettivo.

La tesi dell’abolizione dei senatori a vita di nomina presidenziale – non di quelli di diritto a vita, che sono gli ex presidenti della Repubblica – Casini l’ha sostenuta ieri pomeriggio, nel corso della presentazione dell’ultimo libro di Paolo Armaroli, dedicato appunto ai Senatori a vita visti da vicino, titolo a sua volta assonante a quelli dei libri più famosi di uno dei più famosi senatori a vita (Andreotti). «La riduzione del numero dei parlamentari rischia di moltiplicare le occasioni in cui i senatori a vita, rimasti nello stesso numero, possono essere decisivi per la fiducia ai governi», ha detto Casini. Mentre l’ex presidente della Corte costituzionale Sabino Cassese ha proposto di ragionare non sull’abolizione, ma magari sulla riduzione del mandato: non più a vita, appunto, ma a termine. Ed è forse una tesi che può trovare d’accordo anche l’autore, che un certo favore alla limitazione del peso dei “nominati” nelle assemblee elettive lo lascia intendere nelle ultime pagine del suo libro. Ricco per il resto assai più di fatti che di opinioni. Armaroli, professore di diritto pubblico e diritto parlamentare ed ex deputato di An, è soprattutto un divertito tessitore di un’infinità di vicende, talvolta storiche, talvolta anche solo curiose, che hanno avuto come sfondo i palazzi del potere romano. Nel libro c’è anche un’ipotesi di classificazione dei 38 senatori a vita della Repubblica, da quelli «a fin di vita» rimasti in carica solo pochi mesi o giorni, a quelli «fantasma» che hanno accettato la nomina ma poi non si sono mai o quasi mai fatti vedere al senato. Solo due, a che si sappia, hanno pubblicamente rifiutato l’offerta del presidente della Repubblica. E il primo «no, grazie» è arrivato proprio alla prima occasione, quando Einaudi nel ’49 fece le sue prime scelte. Non poteva esserci debutto peggiore per questo istituto. A conferma che la storia dei senatori a vita è tutt’altro che noiosa.