Internazionale

La lunga quarantena degli italiani all’estero

La lunga quarantena degli italiani all’esteroPasseggeri all’aeroporto Heathrow di Londra – Ap

Pandemonio L'odissea di migliaia di connazionali bloccati in vari paesi del mondo dall’inizio dell’emergenza: mancano i voli o costano troppo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 maggio 2020

Si sono trovati lontani da casa nel mezzo della pandemia e non riescono a tornarci. Vivono sotto coprifuoco o in paesi bloccati. Hanno l’assicurazione sanitaria in scadenza. Sono in Amazzonia, su isole tropicali, ai confini del deserto o nelle megalopoli. Questi connazionali lanciano un grido d’allarme alle autorità italiane. «Bloccati. Bloccate. Questo siamo, sparsi nel mondo, ormai da due mesi. Senza possibilità di rientrare, con la paura che ci attanaglia», hanno scritto in un appello rivolto alla Farnesina di Luigi Di Maio e firmato in pochi giorni da circa 3.500 persone.

SU QUANTI SIANO effettivamente non esistono numeri certi. Le situazioni sono variegate e non sempre il rientro è comunicato alle autorità. Si tratta comunque di decine di migliaia di persone. Nel mare magnum delle situazioni individuali i problemi più grandi sono l’assenza di voli o i costi esorbitanti. A monte la questione del meccanismo europeo di protezione civile Eupcm al cui interno esiste un fondo comunitario per i rimpatri che rimborsa agli Stati membri tra l’8% e il 75% del prezzo dei biglietti. Secondo la tabella pubblicata il 4 maggio sul sito dell’Ue il fondo ha finanziato il rientro di 65.213 cittadini (58.097 comunitari e 7.116 di paesi terzi). La Germania fa la parte del leone con 32.548 persone. In Italia sono rientrati in 1.195. Solo uno, però, il volo organizzato autonomamente dal nostro paese con la copertura europea: il 21 febbraio da Tokyo per i passeggeri della Diamond Prince. Nonostante ripetute richieste la Farnesina non ha chiarito il perché. I problemi principali dovrebbero riguardare entità e modalità del rimborso di voli molto costosi per cui lo stato deve anticipare i soldi. Oltre all’accumulo di lavoro degli uffici e alle condizioni per l’attivazione del fondo.

DIETRO I NUMERI ci sono le storie. Individuali ma sempre intersecate alle congiunture economico-politiche e alle diverse strategie anti-contagio in corso nel pianeta. In Bolivia il governo golpista ha imposto il coprifuoco: si può uscire un giorno a settimana per fare la spesa in base all’ultimo numero del documento. Chi trasgredisce va in prigione. «Non ci sono voli, né collegamenti interni. L’ambasciata italiana non ha organizzato aerei per il rientro, ci ha detto di rivolgerci a quelle di altri paesi europei», racconta Luca Profenna. Educatore 35enne partito a dicembre scorso è bloccato a La Paz da febbraio. Ha organizzato prima un gruppo Whatsapp con altri 80 italiani in Bolivia e poi uno più grande con connazionali nei cinque continenti. L’appello nasce lì: «per rompere il meccanismo delle richieste individuali e riconoscerci in una stessa condizione», spiega.

ANCORA PIÙ PRECARIA la situazione di Agnese Della Morte, 54 anni, originaria di Verona e andata a Trinidad due anni fa per accudire il nipotino italo-boliviano. «Avevamo deciso di rientrare definitivamente in Italia ad aprile – racconta la donna – Siamo al limite con l’Amazzonia. Non ci sono ospedali o farmacie. In condizioni normali, senza i blocchi sulle strade, la città più vicina è a 12 ore, la capitale a 15. Siccome per gli italiani non ci sono voli ci hanno detto di rivolgerci ad altre ambasciate. Ma i posti per noi sono residuali, costano fino a 2 mila euro a testa e te lo dicono due giorni prima. E senza un lasciapassare sicuro non possiamo muoverci».

DALL’ECUADOR, dove l’epidemia è particolarmente dura, qualcuno è partito ma ancora in tanti sono bloccati. «L’ambasciatrice ci ha detto di avere una lista con 240 persone, di cui 50 con cittadinanza italiana. Siamo nel limbo, non ci sono voli commerciali e non sappiamo quando potremo tornare», afferma Zarella Rodriguez. È nata a Quito ma è cresciuta in Italia, dove ha frequentato tutte le scuole. Ha 28 anni ed è ancora in attesa della cittadinanza. Era tornata per tre mesi a trovare nonni e zii ed è preoccupata: in Ecuador sono otto in casa e solo una persona lavora, in Italia la madre fa la badante ma il padre è rimasto recentemente senza impiego.

MARCO TIROZZI ha 32 anni e lavora come direttore commerciale di due aziende ittiche in Mauritania. Si trova a Nouadhibou, confine col Marocco. Ha chiesto un lasciapassare per raggiungere con la sua auto il porto di Tangeri, imbarcarsi per Genova e da lì tornare a Napoli. Le autorità italiane, invece, gli hanno proposto di andare nella capitale mauritana Nouakchott e prendere una serie di voli con cui, dopo almeno tre scali e diversi giorni in vari aeroporti, tornare a casa. «In mezzo però c’è il deserto, da solo in macchina e con il lockdown è pericoloso – racconta – Gli aeroporti poi sono il principale luogo di contagio: non me la sento di rischiare di portare il virus a casa, dove vive mio padre che ha 65 anni».

IN KENYA si trovano invece Sandra Franzoso e suo marito. Sono stati trasferiti in un resort a Malindi dove attendono un volo con altri italiani. Il prossimo sarebbe dovuto partire da Mombasa il 9 maggio. Prezzi tra 990 e 1.690 euro con Alitalia. L’ambasciata di Nairobi ha comunicato ieri che se ne parla il 17 maggio, con la compagnia Neos. Al momento non è possibile prenotare e i prezzi non sono stati pubblicati.

A PUSHKAR, nello stato indiano del Rajastahan, si trovano Claudia Azzarelli, il suo compagno e il loro bimbo di cinque anni. Avevano un volo Turkish Airlines il 20 marzo, ma è stato cancellato e da allora sono in attesa. «Con le soluzioni proposte dall’ambasciata avremmo speso in totale più di 5 mila euro, ma non ce li abbiamo – racconta Azzarelli – Io faccio l’artigiana e il mio compagno il musicista, quindi per ora siamo disoccupati. A casa hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione e non possiamo chiedere soldi. In più viviamo a Palermo, che per il momento è difficilmente raggiungibile persino dalle altre città italiane. Secondo i numeri che ci hanno fornito le autorità siamo circa 320 connazionali bloccati in India. Vogliamo che l’ambasciata se ne faccia carico».

SULL’ISOLA di Langkawi in Malesia sono bloccate Vanina Vio e una sua amica. «Qui il lockdown non è così duro e siamo in una situazione privilegiata – afferma – Ma i soldi stanno finendo. Ho perso il lavoro perché la stagione turistica a Venezia non si sa se partirà. Ci siamo trovati in una situazione di convivenza forzata con un uomo che si è dimostrato aggressivo. È giusto che rientri prima chi è in una situazione più difficile, ma neanche noi possiamo rimanere a lungo nell’incertezza. Non ci sono voli speciali di rimpatrio e l’ambasciata ci gira solo tratte commerciali a prezzi altissimi».

LA QUESTIONE DEI PREZZI è complessa e anche in questo caso le situazioni sono diverse. Emblematica è la situazione dei connazionali in attesa di rientro da Buenos Aires. Sarebbero circa 400. Il 25 marzo, grazie all’intervento delle autorità italiane, sono partiti dei voli a prezzi stracciati su aerei Neos che rientravano dopo aver rimpatriato dal Vecchio Continente dei croceristi sudamericani. Poi per un mese la tratta è stata sospesa. Il 23 e 25 aprile sono partiti due voli costati tra 1.881 euro (in economy) e 2.330 (in business).

DA ALITALIA fanno sapere che per la compagnia si è trattato di un servizio in perdita perché gli aerei sono dovuti partire dall’Italia vuoti e rientrare con una capienza ridotta al 40% del Boeing 777 (129 passeggeri). A seguito del Dpcim del 10 aprile anche a bordo vigono le norme di distanziamento sociale. In assenza di un contributo pubblico i cittadini hanno pagato l’andata e il ritorno di un volo lungo e mezzo vuoto.

NEL PAESE che ospita una grande comunità italiana la situazione si potrebbe sbloccare perché sono iniziati i rimpatri degli argentini, per cui i vettori non sono più costretti a fare una tratta senza passeggeri. Così il 30 aprile i biglietti si sono «ridotti» a 1.200 euro e oggi dovrebbe partire un nuovo volo di Aereolineas Argentinas con un costo più basso (circa 820 dollari). In un paese lungo 4.361 km e con i trasporti interni fermi il problema è anche raggiungere la capitale per imbarcarsi. «Finora la certezza dei voli è arrivata circa 48 ore prima della partenza. Per andare nella capitale bisogna chiedere un visto che tarda almeno un giorno. Dalla città in cui mi trovo, affittando una macchina e guidando senza mai fermarsi, ci vogliono più di 20 ore per arrivare a Buenos Aires», afferma Andrea Marzolla. 33 anni, ricercatore in fisica teorica con contratto scaduto il 31 marzo, si trova bloccato a San Carlos de Bariloche (1.559 km dall’aeroporto intercontinentale di Ezeiza).

IL PIANETA vive evidentemente una situazione inedita di caos, che ha complicato l’azione delle autorità. A quasi due mesi dalla dichiarazione della pandemia, però, non c’è più tempo da perdere per far rientrare le persone bloccate lontano da casa. «Questa situazione ci ha insegnato che la tutela delle persone, la salute collettiva e la salvaguardia delle vite umane sono le cose più importanti che abbiamo e di certo non valgono meno di soldi e denaro», ribadiscono nell’appello i cittadini che attendono l’intervento delle autorità.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento