La lunga guerra tra due fazioni e il governo «assente»
Banche Dilaga il conflitto tra i residui del «grande capitalismo» italiano, Del Vecchio e Caltagirone da una parte, Mediobanca e Generali, dall’altra. Draghi tace, e chi tace
Banche Dilaga il conflitto tra i residui del «grande capitalismo» italiano, Del Vecchio e Caltagirone da una parte, Mediobanca e Generali, dall’altra. Draghi tace, e chi tace
Sulla stampa appaiono quasi ogni giorno delle notizie sulla guerra che oppone da tempo due fazioni di quel che resta del grande capitalismo italiano, Leonardo Del Vecchio e Gaetano Caltagirone – con alcuni coprotagonisti – da una parte, Mediobanca e Generali, anch’esse con i loro amici, dall’altra. Mentre per Del Vecchio, vista l’età (87 anni), si tratta forse del dernier tour de piste, come dice una canzone (ma anche Caltagirone, con 78 anni, non scherza), Mediobanca lotta invece contro la sua possibile irrilevanza. L’oggetto del contendere è soprattutto il controllo di Generali.
Mediobanca, con A.D. Alberto Nagel, è governata da un patto di sindacato che controlla il 10,73% del capitale della banca (in esso confluiscono molti soci); qualche decennio fa eravamo al 40%. Ma ora, con l’uscita dal patto di Benetton (2,1%) e l’ingresso previsto di altri, si passerebbe al 9,98%; potrebbero però aggiungersi degli altri azionisti con un ulteriore 5,0%. Dall’altra parte stanno Del Vecchio, ormai arrivato al 18,9% e Caltagirone con il 5%, cui potrebbe unirsi Benetton. Gli investitori istituzionali detengono il 50%.
In Generali, invece, l’A. D. è il francese Philippe Donnet, in quota Mediobanca, struttura quest’ultima che controlla il 12,9% del capitale della compagnia assicurativa; di recente, essa ha aggiunto temporaneamente un altro 4,42%, arrivando al 17,22%. Del Vecchio, Caltagirone e Fondazione CRT hanno insieme il 12,98%, mentre Benetton controlla il 3,97% e Il mercato il 40%. Del Vecchio, Caltagirone e Benetton hanno investito nel tempo nelle due società circa 8 miliardi di euro, ma probabilmente ne metteranno ancora altri nei prossimi mesi.
L’esito della battaglia per il controllo del consiglio di Generali, il cui rinnovo si deciderà nell’aprile del 2022, appare incerto, ma, come è stato già scritto, pochi sono i dubbi sull’esito finale della guerra; quando tra due anni si dovrà rinnovare quello di Mediobanca, Del Vecchio e Caltagirone dovrebbero avere partita vinta e conquistare poi di conseguenza anche Generali. Le vicende descritte suscitano molte possibili riflessioni.
Per quanto riguarda Mediobanca, è passato molto tempo da quando essa guidava la cosiddetta Galassia del Nord. Della gloria passata resta, oltre all’attività di banca d’affari e di finanza più tradizionale, il governo di fatto di Generali; se ne perdesse il controllo, le resterebbe soltanto un ruolo di seconda fila, tanto più che i dividendi che Generali distribuisce ogni anno, grazie anche alla sua sollecitazione, costituiscono da un terzo alla metà degli utili della stessa banca.
Quale è invece l’interesse di Del Vecchio a perseguire con tanto accanimento la preda? Nella canzone sopra citata l’anziano protagonista cercava l’amore di una ragazza giovane; non è invece chiaro del tutto cosa cerchi Del Vecchio, al di là della possibile vendetta per vecchi torti subiti, dal momento anche che per le regole della Bce dovrebbe restare un investitore solo finanziario di Mediobanca. Ed anche se riuscisse ad impossessarsi della banca e di Generali, sarebbe per farne che cosa? Nell’incertezza, c’è chi arriva a ipotizzare che, attraverso anche la stessa Generali, Del Vecchio vorrebbe prendere poi (più o meno a 90 anni ed oltre) il controllo di Unicredit, realizzando una grande concentrazione banca-assicurazione, evitando così anche che arrivi qualche scalatore estero, presentandosi quindi come il salvatore della patria.
Una cosa che sembra chiara è che Del Vecchio non gradisce che la gestione di Mediobanca miri soprattutto ad aumentare i dividendi, impedendo così alla struttura di avere le risorse per crescere e avvicinarsi in questo alle altre grandi imprese europee del settore, rispetto alle quali è rimasta indietro con il tempo. Sembra anche evidente che non gli piace che dei semplici manager, e non degli azionisti, comandino le danze, almeno in parte, a Generali.
È già stato rilevato a questo proposito che quello in atto è anche un episodio nella lunga storia del conflitto per il potere tra azionisti e manager. Già Adam Smith e Karl Marx avevano individuato un contrasto di interessi tra le due figure e da allora non sono certo mancate le convalide all’ipotesi. Tra l’altro, Del Vecchio ha chiesto che nello statuto di Mediobanca si cancelli la possibilità di nominare tre manager interni nel consiglio di amministrazione.
Nessuno parla da noi invece di inserire nel gioco anche dei rappresentanti dei lavoratori, almeno nelle strutture più grandi. Colpisce che una vicenda così importante per il futuro del sistema finanziario ed industriale del nostro paese si svolga nelle segrete stanze, all’oscuro dell’opinione pubblica, mentre il governo non sente in alcun modo il bisogno di intervenire. Può darsi che Del Vecchio e Draghi si siano incontrati o che programmino di farlo, ma non verranno certo a parlarne con noi.
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