La lunga «conversione» del vescovo conservatore
Un cammino La voce degli ultimi contro i potenti
Un cammino La voce degli ultimi contro i potenti
«In nome di Dio, di questo popolo sofferente… vi chiedo, vi prego, vi ordino in nome di Dio, cessi la repressione». L’ultima omelia di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo salvadoregno, il 23 marzo del 1980. L’ultima denuncia contro i crimini commessi dall’esercito all’inizio della guerra civile che durerà fino al 1992. La sua definitiva condanna. Il giorno dopo verrà ucciso da un sicario degli squadroni della morte, finanziati dalla Cia per combattere «il pericolo comunista» e agli ordini del colonnello Roberto d’Aubuisson. Stava dicendo messa nella cappella dell’Ospedale La Divina Provvidenza di San Salvador.
Romero era un conservatore, ma negli ultimi anni il suo impegno aveva finito per coincidere con quello delle correnti più radicali della Teologia della liberazione. Da tempo aveva aperto le porte della chiesa ai contadini perseguitati dalla repressione che organizzavano la resistenza. Avevascritto una lettera all’allora presidente Usa, Jimmy Carter, per chiedergli di cancellare gli aiuti militari al governo del Salvador. Da allora, verrà ricordato come «la voce dei senza voce», capace di tener testa ai potenti. E, dal 1996, si è aperta a Roma la causa per la sua canonizzazione.
Nato il 15 agosto del 1917 in una famiglia povera, era cresciuto nel Pontificio collegio Pio latinoamericano – che ospita gli studenti del Latinoamerica – fino ai 24 anni, quando venne ordinato sacerdote, il 4 aprile del 1942. Rientrato in Salvador, esercitò come parroco e poi come segretario del vescovo diocesano Miguel Angel Machado. Nel ’68 divenne segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Il 21 aprile del 1970, il papa Paolo VI lo nominò vescovo ausiliario di San Salvador. Della sua nomina, si rallegrarono soprattutto le componenti conservatrici del clero, rassicurate dalle sue dichiarazioni contro «i marxisti» della teologia della liberazione. A febbraio del 1970, disse in un’intervista: «Il governo non deve scambiare il sacerdote che si esprime a favore della giustizia sociale per un politico o un elemento sovversivo, perché sta solo compiendo la sua missione nella politica del bene comune». Proprio il giorno della sua nomina, assiste a un feroce massacro di contadini da parte dell’esercito e alla morte di un centinaio di persone che si erano rifugiate nella chiesa del Rosario. E comincia a «vedere» con altri occhi le sofferenze dei poveri e gli impedimenti al «bene comune».
Quella che lo stesso Romero racconterà poi come la sua «conversione» avviene qualche anno più tardi, quando viene ucciso il gesuita Rutilio Grande, il 12 marzo del 1977. Rutilio è massacrato dagli squadroni della morte agli ordini dell’oligarchia che cercava di contenere col terrore le proteste dei contadini. Da allora, Romero sceglie il proprio campo: quello degli ultimi, e beve il suo calice fino alla fine.
«Sii patriottico, ammazza un prete», gridava allora l’estrema destra salvadoregna. E faceva seguire alle minacce i fatti: 40 saranno i sacerdoti uccisi in quel periodo. Nel 1989, avviene il massacro di Uca: sei gesuiti trucidati insieme alla cuoca e a sua figlia. La voce di Romero ha già il timbro forte e coraggioso della denuncia e risuona nel mondo. Nel 1979 è candidato al Nobel. Ma la chiesa di quegli anni sta scegliendo un altro campo.
A febbraio del 1980, l’arcivescovo Romero compie un viaggio in Europa per ricevere la laurea Honoris Causa dall’università di Lovanio. Ha portato con sé un voluminoso fascicolo in cui ha documentato i crimini degli squadroni della morte e i patimenti inflitti ai contadini salvadoregni. Vuole consegnarlo al nuovo papa Giovanni Paolo II. Dopo una lunga anticamera che preannuncia il clima dell’incontro, Romero è ricevuto da un Wojtyla gelido che gli dà tutt’altro «consiglio»: quello di non occuparsi degli oppressi, ma di tenere piuttosto in conto le buone relazioni con gli oppressori: «Lei, signor arcivescovo, si deve sforzare di avere una migliore relazione con il governo del suo paese», lo ammonisce il papa, pronto alla crociata contro «il comunismo» insieme al presidente Usa Ronald Reagan. Intanto, come risulta dagli archivi Cia, qualcuno sta già ordinando l’omicidio dell’arcivescovo al colonnello Roberto d’Aubuisson.
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