La luce bianca del Nord dove tutto va a dissolversi
Racconti per immagini: Seth Dalla culla alla morte, il protagonista di questa «picture novella» illuminata dalle matite chiare di Seth, è la gloria (al tramonto) di un’emittente locale: George Sprott 1894-1975, Coconino
Racconti per immagini: Seth Dalla culla alla morte, il protagonista di questa «picture novella» illuminata dalle matite chiare di Seth, è la gloria (al tramonto) di un’emittente locale: George Sprott 1894-1975, Coconino
Nella prima pagina del suo memoir Parla, ricordo, Vladimir Nabokov riporta la sensazione di panico provata quando, da ragazzino, si trovò a guardare delle vecchie pellicole di famiglia in cui i genitori e la casa dove viveva erano immortalati poco prima della sua nascita: la culla vuota che lo attendeva gli era sembrata angosciante quanto una bara, un richiamo all’eternità buia che precede una vita, «gemella identica» di quella che la seguirà. Un’eco lontana dello sgomento di Nabokov e del suo sguardo turbato sull’abisso sopra cui «ciondola» la culla sembra lambire le prime tavole del «racconto per immagini» di Seth George Sprott 1894-1975, apparso originariamente sulle pagine del New York Times nel 2006 e poi in volume nel 2009, e ora proposto in Italia da Coconino Press (trad. it. di Leonardo Rizzi, pp. 96, € 28,00): nelle caselle del cartoon, la figura del protagonista, alternativamente bambino e vecchio, fluttua in un vuoto che può essere la tenebra prenatale o quella successiva alla morte. Ma «la sfera del prima» e quella «del dopo» sono una stessa oscurità, dalla quale usciamo e dove poi ritorniamo, o sono diverse? E soprattutto: cos’è la vita di un uomo, quello «schizzo di tempo» che le divide? Qualcosa di simile a una pagina a fumetti in cui l’ultimo disegno influenza le caselle precedenti, in una specie di retroazione in cui il futuro dà un senso al passato?
L’investigazione sulla realtà (o l’irrealtà) del tempo, sui suoi labirinti e paradossi oltre che sulla sua tessitura, è stata il fil rouge che ha legato insieme le arti, la filosofia e la scienza del Novecento. E forse non è un caso se l’autore di George Sprott, e prima ancora dell’anomala saga familiare Clyde Fans – entrambi libri che mettono proprio il tempo al centro della narrazione – ci appaia nelle foto che lo ritraggono come un curioso revenant novecentesco: cappello di feltro, trench, abiti fatti su misura e occhiali tondi, un po’ benjaminiani. È un Novecento «eterno» e atemporale, quello in cui sembra volersi collocare Seth (nome d’arte di Gregory Gallant, nato in Ontario nel 1962), la stessa età dello spirito in cui, per esempio, un artista a lui affine come Wes Anderson ambienta il suo ultimo film The French Dispatch: e condivise con l’universo del regista texano sono pure certe influenze estetiche come le copertine anni cinquanta del «New Yorker» o le vignette di Charles Schulz.
Ma se Anderson, in modo un po’ futile, si ferma spesso sulla superficie di quel mondo, Seth compie una mossa diversa: con le sue matite, la illumina dal di dentro di un chiarore pallido, che ricorda la luce del Grande Nord canadese, e la sua sensibilità malinconica fa percepire al lettore che la riproposizione del passato non è nient’altro che un estremo e compassionevole tentativo di salvarlo dall’oblio. Un destino, tuttavia, impossibile da evitare – per le persone e per le cose, per gli splendori così come per le miserie – come suggeriscono le pagine di George Sprott.
Il protagonista della picture novella (definizione ironica che Seth predilige all’abusata formula graphic novel) è una gloria dell’emittente locale CKCK ormai sul viale del tramonto: ex esploratore dell’Artico, ma formatosi in seminario anche se animato da una dubbia fede, pubblicista e conferenziere, marito infedele e padre di una figlia trascurata avuta da una donna inuit, poi conduttore per decenni della trasmissione Splendori boreali. Seth ce lo presenta attraverso una duplice strategia narrativa: raccontando le sue ultime tre ore, dopo l’ennesima puntata dello show, e in parallelo raccogliendo le testimonianze di diverse figure che hanno popolato la sua vita. Una di queste è l’ex inserviente del Radio Hotel, dove George ha abitato negli ultimi anni (un’altra strizzata d’occhio a Nabokov, che visse a lungo in un albergo di Montreux?). L’uomo, divenuto poi direttore della struttura, ricorda quando mise piede nelle stanze di Sprott, poco dopo la sua morte: si chiese cosa trattenesse ancora quel mausoleo di cimeli del suo legittimo proprietario, che vi trascorreva notti solitarie come un ragno al centro della ragnatela. Seth «inquadra» nelle vignette quei cimeli, a uno a uno: il ritratto di un amore giovanile, un gadget della CKCK a forma di pupazzo di neve, un biglietto d’auguri della sollecita nipote Daisy, una copia di Walden di Thoreau, la foto di una donna nuda, delle bretelle… Abbiamo l’impressione di sfiorare, attraverso quegli oggetti, l’essenza stessa dei momenti che hanno composto la vita di George. Ma poi, ricorda l’ex inserviente, «una settimana dopo, le stanze furono completamente svuotate», e l’ultima vignetta mostra solo uno scatolone rimasto da riempire sul pavimento della camera d’albergo, illuminato da una luce cruda. Un destino non diverso è toccato alle registrazioni della trasmissione di Sprott, 1132 puntate fatte cancellare dalla direzione dell’emittente per liberare l’archivio: consumata la stagione della fama, quei nastri erano solo «spazio sprecato». Cosa rimane dunque del vecchio George?
Forse qualcosa nei ricordi delle persone con cui ha avuto a che fare, che però parlando si contraddicono: era uno zio amato e ammirato, per la nipote; un uomo noioso che tuttavia aveva un inspiegabile successo con le donne, per un collega; un gentiluomo che si commuoveva quando parlava dei suoi viaggi nell’Artico, per una assidua spettatrice dei suoi programmi; un fantasma sgradito, che nemmeno si ricordava del suo nome, per la figlia dimenticata. Lo stesso narratore, fin dall’inizio, si rivolge ai lettori scusandosi per non essere capace di svelare «niente di “vero”» su George, quasi come se fosse sopraffatto dall’impossibilità di far collimare i nudi eventi della sua vita con le impressioni di chi ne ha incrociato la strada. Un dilemma, questo, che ripropone su scala più larga il «contrasto tra l’interno e l’esterno di una persona», il dualismo che per Seth rappresenta «l’esperienza più profonda della vita».
Così, in questa ammissione di debolezza dello sforzo di conoscere, di ricordare e di narrare, sembra che il profilo di qualsiasi esistenza sia inevitabilmente condannato a dissolversi e a svanire, per sempre. Tuttavia, l’impressione che le parole e i disegni di Seth comunicano al lettore è che il luogo dove le memorie si vanno a confondere e annullare non sia un baratro oscuro, un vortice che annienta, ma piuttosto qualcosa di simile alla quieta vastità del Nord, al suo silenzio, alla sua luce bianca che acceca lo sguardo. Non a caso, nella vignetta che segue l’evento della morte di George, Seth disegna un quadro (forse l’ultimo oggetto su cui si sono posati gli occhi del moribondo) che rappresenta un uomo solitario, con una bandiera nella mano destra, in mezzo a una distesa di neve: un viatico? Un lontano ricordo di George? O un simbolo della sua imminente traversata nei territori della morte? Forse nessuna di queste cose, o tutte insieme nella stessa muta immagine. Che sembra condensare da sola il motivo per cui questa storia abbia trovato la sua forma perfetta proprio in una narrazione per immagini. E che, se proprio la si volesse commentare con delle parole, non troverebbe miglior controcanto dei versi di una poesia di Louise Glück, Il rifiuto della morte: «A mano a mano che (le memorie ndr) svaniscono, forse raggiungerai / quel vuoto invidiabile verso il quale / tutto scorre, come la coppa vuota nel Daodejing».
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