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La lotta per le donne negli stadi in Iran

La lotta per le donne negli stadi in IranDarya Safai

Sport e diritti Il caso della polizia intervenuta a Pesaro per fermare le proteste di Darya Safai durante il match di volley Italia Iran

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 6 giugno 2017

Primo week end di World League, l’Italvolley ha esordito venerdì scorso contro l’Iran a Pesaro. Sugli spalti un gruppo di tifose iraniane indossavano magliette bianche con la scritta «Let iranian women enter the stadiums» (Lasciate entrare le iraniane negli stadi), tra di loro c’era Darya Safai, esule in Belgio dopo aver partecipato nel 1999 alle proteste contro il governo. Darya, oltre a indossare la maglietta, reggeva lo striscione con la stessa scritta, in patria è conosciuta perché gira i palazzetti mondiali portando avanti la sua battaglia: in Iran le donne non possono assistere a eventi sportivi. La regia internazionale segue gli scambi in campo fino a quando la telecamera stacca per inquadrare gli spalti: la polizia cerca di strapparle lo striscione, poi cerca di allontanarla di peso, una scena che finisce in rete, postata sui social network. Siamo in Italia e non in Iran, qui non c’è alcun divieto di esporre la propria opinione in favore di telecamera.

La federazione italiana pallavolo domenica pomeriggio, dopo tre giorni, dirama un comunicato: «La decisione di far intervenire le forze dell’ordine è stata presa dalla Federazione Internazionale che ha accolto la richiesta del team manager dell’Iran. Il dirigente iraniano ha minacciato il Supervisor che, in caso di non intervento, la tv iraniana avrebbe interrotto la trasmissione in diretta della partita nel proprio paese». Segue poi il commento del presidente federale, Pietro Bruno Cattaneo: «Ho personalmente parlato con alcuni esponenti della Federazione Mondiale ai quali ho fatto presente che, dal momento in cui l’Iran prende parte alla World League, è giusto che si adegui alle condizioni condivise da tutte le altre federazioni. In ogni palazzetto deve essere data la possibilità agli spettatori di esprimersi liberamente». Commenti sensati ma arrivati a week end di competizioni ormai finito. Nel 2014 la iraniano-britannica Ghoncheh Ghavami ha sopportato cinque mesi di carcere duro a Tehran per aver aver provato ad assistere a una partita della nazionale di volley. Le proteste internazionali e un lungo sciopero della fame hanno portato alla sua liberazione e, dopo un anno, l’accusa è caduta del tutto. Perché rischiare una condanna?

È Safai stessa a spiegarlo: «Lo stadio è come la società in piccolo. Tenere fuori le donne rappresenta la loro esclusione dalla società». Nel 2015 l’amministrazione Rohani e, in particolare, la vicepresidente Shahindokht Molaverdi cancellò il bando delle donne dai palazzetti (ma non per il calcio, la lotta, il pugilato e il nuoto) di fronte alle pressioni internazionali. Solo una mossa propagandistica perché poi alle donne fu impedito di assistere all’incontro di volley Iran-Usa di World League.

Nuove minacce della Federazione internazionale hanno portato a finte concessioni: a luglio 2016 a Tehran per Iran-Serbia sono stati messi in vendita circa 400 biglietti per le donne, poi spariti dal mercato. Nello stadio c’era un piccolo settore che ospitava le donne: tutte rigorosamente vestite in nero e con il capo coperto, nessuna esultanza, probabilmente erano parenti dei giocatori a cui era stato imposto di controllare il loro comportamento. Accontentati gli occidentali, l’Iran da due anni impone ai paesi ospitanti di fermare le proteste di Safai: è accaduto alle olimpiadi di Rio al Maracanazinho, è successo in Olanda, venerdì a Pesaro.

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