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La lotta operaia al tempo del Coronavirus

La lotta operaia al tempo del CoronavirusUn operaio al lavoro con la mascherina

Fase Due La lotta operaia al tempo del Coronavirus. Le organizzazioni sindacali hanno avuto le antenne nei luoghi di lavoro che governo e imprese non possono avere

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 giugno 2020

Nel tempo del Coronavirus la lotta degli operai in Italia si è fatta valere. Grazie alla forza di questa mobilitazione, il Paese ha registrato una indiscutibile vittoria sociale a favore del diritto inalienabile alla salute. Governo e Confindustria non l’hanno spuntata. La presunta priorità “a prescindere” attribuita alla produzione, essenziale e non, affermata dalle pressioni confindustriali, in modo spesso cinico, è stata ridimensionata. Infatti,  prima degli accordi intervenuti fra Governo e organizzazioni sindacali, sono state determinanti le vibranti lotte degli operai. Non ci si è piegati a quella sorta di pensiero unico, quello del capitalismo degli algoritmi, quello che con le grandi multinazionali della globalizzazione mira a soddisfare i bisogni non essenziali ancora prima di quelli necessari, senza alcun rispetto per i diritti fondamentali del lavoratore. E quello della salute lo è. In tal modo si è sollevata, con le agitazioni operaie e la posizione intransigente del sindacato, la coltre di ipocriti proclami tesi a spegnere le proteste, adducendo il rischio che fermando le produzioni si sarebbero provocati danni irreparabili all’economia. Si è inveito contro la disobbedienza operaia con la scusa che poteva tagliare fuori il nostro apparato industriale dalle catene internazionali della produzione.

Un muro che scioperi e proteste hanno abbattuto mostrando la realtà del lavoro in fabbrica: ovvero che in questi anni, fra le “trasformazioni” della produzione vi era stato anche l’abbandono irresponsabile di tanti ambienti lavorativi dal punto di vista sanitario E’ risultata  vana anche la “caccia” ai sindacati colpevoli di aver prestato attenzione e sostegno a scioperi e proteste, quasi che il dovere di raccogliere le preoccupazioni, le ansie, le paure di tante tute blu rappresentasse, invece, un modo per istigare la sollevazione operaia. Ma le organizzazioni sindacali hanno avuto quelle antenne nei luoghi di lavoro che  Governo e politica non possedevano: le sensibilità  dei delegati sindacali pressati giustamente dai lavoratori. Questo esile strato di rappresentanza è riuscito a capire rapidamente quello che imprenditori e manager non erano stati in grado di percepire. E così si è giunti nel più breve tempo possibile ad accordi che garantissero davvero  il rispetto della salute in fabbrica.

Riemerge dopo anni dunque, accanto alla protesta operaia, anche il ruolo del delegato alla sicurezza, troppe volte “svilito” da una precedente legislazione permissiva nei riguardi delle imprese e  stoltamente liberista nel ridurre i controlli.  Ed  il legame rinsaldato  fra delegati e base operaia  è una novità interessante che si afferma proprio nel periodo nel quale viene celebrato il cinquantenario dello Statuto dei lavoratori. Molto probabilmente è stato proprio questo ruolo incisivo e decisivo del delegato  alla sicurezza a testimoniare la validità dello Statuto nel quale è impresso l’impegno di  uomini come Giacomo Brodolini, Gino Giugni, Carlo Donat Cattin e di migliaia e migliaia di lavoratori in lotta nell’autunno caldo.

Il 22 ed il 25 marzo, il governo, dopo un serrato confronto con i sindacati,  tramite i soliti Dpcm è corso ai ripari; ma ha continuato a  lasciare larghe maglie nei divieti, come il possibile ricorso alla autocertificazione delle aziende per dimostrare che svolgevano attività necessarie per le filiere fondamentali della produzione. Un provvedimento che finiva per non sollevare la condizione di coloro che lavorano in piccole realtà produttive, negli appalti, nel microcosmo sterminato di microimprese dove è di casa il lavoro nero, quello  irregolare e precario.

Ecco perché ha avuto un grande  valore la sostanza degli accordi stipulati dalle forze sindacali per impedire anche in questo frangente drammatico che il mondo del lavoro si spaccasse in uno tutelato, quello sindacalizzato, ed in un altro, invece, assai poco protetto e sul quale non arrivavano i riflettori delle Istituzioni preposte ai controlli. La protesta operaia ha favorito intese sulla organizzazione del lavoro, sui tempi, sugli orari, sulla condizione sanitaria ed ambientale. Una protesta che è diventata proposta concreta. Nella fase di crisi, la classe operaia ha prodotto risultati  importanti, anche in relazione al contenimento della diffusione del virus. Gli operai che non sono archeologia industriale, ma parte della democrazia di cui il Paese non può fare a meno.

*Segretario generale della Uiltec

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