È indubbiamente una invenzione medievale, il papato, sebbene con addentellati alla tradizione tardoantica. All’indomani della divisione dell’impero romano in due parti, l’orientale e l’occidentale, il concilio di Calcedonia aveva riconosciuto il primato almeno morale del vescovo di Roma: che nella sua città era detto «papa», termine d’origine forse siriaca indicante i sacerdoti, legato all’aramaico abba nel senso di «padre» (da cui avremo anche «abate»).

Tale primato gli proveniva dal fatto che primo vescovo dell’Urbe era stato il Principe degli Apostoli, Pietro, nonché dall’autorità e dal prestigio persistenti del caput mundi. Ma questo predominio era contrastato dai «metropoliti» (o arcivescovi: i vescovi cui si affidava il coordinamento delle diocesi vicine, ch’erano detto perciò «suffraganei») e dei vescovi delle Chiese della pars orientis dell’impero, che guardavano piuttosto a Costantinopoli seguendo la visione costantiniana secondo la quale la capitale della Chiesa era, automaticamente, la città che fosse stata anche la capitale politica dell’impero.

Il disgregarsi delle istituzioni imperiali nella pars Occidentis lasciò la Chiesa romana esposta a mille pericoli, ma in cambio rese necessario che i suoi rappresentanti più autorevoli, in mancanza di funzionari pubblici laici, accettassero di assumersi responsabilità anche di tipo politico. Al contrario, le Chiese orientali rimasero soggette a un potere statale forte e talora anche oppressivo; e si abituarono quindi alle sole cure dello spirito, rifuggendo da tutto quanto fosse mondano. È in questa solitudine prettamente altomedievale, quando l’impero lasciava posto ai regni romano-barbarici, che si è dunque sviluppata l’istituzione pontificia (anche qui debitrice nel nome, rispetto al pontifex romano) con le sue peculiarità; istituzione che si avvia a completare il suo secondo millennio di vita e che, nonostante la decrescente importanza della pratica cattolica in Europa, suscita interesse e curiosità: per il lato politico, certamente, ma anche per quello rituale e simbolico; l’impero non esiste più, e così è il papato ad avere l’eredità delle istituzioni sacrali della vecchia Europa.

Agostino Paravicini Bagliani è indubbiamente il più profondo conoscitore della storia del papato medievale, al quale ha dedicato numerose monografie scientifiche; allo stesso tempo, ha messo la sua conoscenza al servizio di un pubblico più ampio, spiegando negli ultimi dieci anni, attaverso i quotidiani, il papato contemporaneo a confronto con i modelli passati di questa longeva istituzione.

È quindi bello vedere adesso raccolti quegli articoli in un volume unico (Il papato e altre invenzioni. Frammenti di cronaca dal Medioevo a papa Francesco, Sismel /edizioni del Galluzzo, pp. 200, 20 euro) che prende le mosse dalla contemporaneità per risalire indietro nel tempo.
Le occasioni che l’hanno portato a scrivere sono eventi che ognuno ricorderà: i funerali di Giovanni Paolo II, la rinuncia di Benedetto XVI, l’elezione dell’attuale papa Francesco. Tutti spunti che hanno dato a Paravicini Bagliani l’occasione di spiegare, come fa lo storico, il presente attraverso il passato.
Naturalmente, gli agganci che la storia di Roma, della Chiesa e del papato consente di avere con campi anche in apparenza lontani sono infiniti; per questo l’agile volume prende in considerazione argomenti che non penseremmo di incontrare: come la magia,la stregoneria, le esplorazioni geografiche e molto altro.
Quelli che singolarmente potrebbero sembrarci articoli occasionali, una volta assemblati formano insomma un quadro ricco e a tratti persino divertente della nostra storia.