La logica dell’emergenza non passa mai. Ma produce sprechi che si potrebbero evitare
Profughi Una migliore organizzazione potrebbe far risparmiare allo Stato centinaia di milioni
Profughi Una migliore organizzazione potrebbe far risparmiare allo Stato centinaia di milioni
Il sistema d’accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia è caratterizzato, oramai da 5 anni (dalla cosiddetta Emergenza Nord Africa) da un modello stabilmente emergenziale che produce molti effetti negativi e soprattutto non garantisce risposte che rispettino la dignità delle persone, lasciando al caso la possibilità di incrociare nel proprio percorso strutture adeguate e operatori competenti.
A metà ottobre 2015 erano circa 99mila le persone ospitate in strutture d’accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati finanziate dallo Stato. Di queste 71mila circa (il 72% del totale) sono ospitate nei CAS (Centri d’Accoglienza Straordinari), gestiti dalle prefetture attraverso convenzioni con organizzazioni private (non profit, ma molte profit) che spesso sono operatori turistici o organizzazioni prive dell’esperienza necessaria. Questi 71mila posti letto si trovano in 3090 centri di accoglienza, molto diversi tra loro (piccoli, grandi e i c.d. HUB), i cui gestori devono rispettare quanto prescritto dalle convenzioni, ma restituiscono alle prefetture solo una fattura e delle relazioni periodiche, senza nessun altro controllo definito.
22mila persone circa sono invece ospitate in 430 progetti SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), gestito dai comuni in convenzione con organizzazioni sociali di comprovata esperienza. La rete SPRAR è coordinata dal Servizio Centrale, che risponde all’ANCI. Questa rete garantisce standard uguali in tutta Italia, vi si accede attraverso un bando nazionale (rivolto ai comuni) e prevede controlli periodici e una rendicontazione dettagliata delle spese.
Due modelli molto diversi, che prevedono servizi, competenze, controlli e procedure diverse e che danno risultati diversi.
Ci sono poi 13 grandi centri governativi (CARA) per circa 7000 posti, anche questi gestiti da organizzazioni private, generalmente non profit, con esperienza, che forniscono i servizi previsti dalla convenzione, con obbligo solo di fattura e relazioni periodiche, senza rendiconti dettagliati sulle spese. L’approccio emergenziale ha determinato la prevalenza di strutture d’accoglienza reperite e gestite in regime straordinario, con diversi effetti negativi, anche sul piano della spesa.
Proviamo a sintetizzare le principali conseguenze negative della mancanza di programmazione e del ricorso a procedure e strutture straordinarie.
Innanzitutto affidare l’accoglienza a società e organizzazioni non competenti comporta che nel periodo di ospitalità il percorso di integrazione non venga avviato o venga avviato male. Non viene curata la relazione tra gli ospiti e il territorio, con conseguenti conflitti ed episodi di razzismo. Il richiedente asilo non viene preparato per il colloquio con la Commissione esaminatrice. La formazione linguistica è per lo più inadeguata. E così, quando lo straniero esce dal centro, deve ricominciare da capo in una condizione addirittura peggiore di quella di partenza. La scarsa preparazione ai colloqui con le Commissioni genera esiti negativi e quindi ricorsi, con ulteriori aggravi per lo stato.
A ciò va aggiunto che il tempo passato in queste strutture (in media un anno) per la lentezza degli uffici coinvolti, impedisce una rotazione e quindi aumenta la necessità di trovare posti, allargando la rete dentro l’area della straordinarietà (CAS).
Inoltre, le persone e le famiglie coinvolte hanno diritto al welfare pubblico, al quale provvedono gli enti locali che, nella maggior parte dei casi, devono fornire servizi senza ricevere risorse aggiuntive e senza poter programmare gli interventi. Infine va detto che i tempi per la formalizzazione della domanda d’asilo e per l’accesso al colloquio con la Commissione sono troppo lunghi (6 mesi per presentare la domanda e oltre un anno per il colloquio). Nel 2015 la spesa per le 42 Commissioni ammonta a circa 4,3 milioni di euro (ogni componente riceve un gettone di 90 euro).
La spesa per l’accoglienza ammonta a circa 1,162 miliardi di euro. Se i tempi d’attesa diminuissero, ad esempio raddoppiando il personale delle Commissioni, lo stato spenderebbe circa 9 milioni per le commissioni e risparmierebbe diverse centinaia di milioni per l’accoglienza.
Più strutture e personale competente, più personale qualificato per le Commissioni Territoriali, potrebbero far risparmiare allo stato centinaia di milioni e generare percorsi virtuosi di integrazione sociale. Per ora si è scelta la strada opposta.
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