La «Lista rossa degli habitat» a rischio nell’Ue
Il fatto della settimana 300 esperti hanno stilato una mappa della biodiversità. Rischiano la scomparsa tre quarti delle paludi e delle torbiere e quasi la metà di laghi, fiumi e coste
Il fatto della settimana 300 esperti hanno stilato una mappa della biodiversità. Rischiano la scomparsa tre quarti delle paludi e delle torbiere e quasi la metà di laghi, fiumi e coste
La perdita di biodiversità è riconosciuta a livello mondiale come una concreta minaccia alla salvaguardia della vita sul pianeta Terra e alla possibilità di accesso alle sue risorse e ai servizi ecosistemici da essa forniti, con serie ricadute sulla sopravvivenza dell’intera umanità. Questa crescente consapevolezza ha portato a numerosi accordi, trattati e direttive nazionali e internazionali volti a contrastare il degrado delle risorse naturali e arrestare la perdita di biodiversità, dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites) del 1973, alle Direttive Uccelli e Habitat emanate dalla Comunità europea rispettivamente nel 1979 e nel 1992, fino alla Convenzione sulla diversità biologica ad oggi ratificata da 196 paesi (tra cui l’Italia, www.cbd.int/information/parties.shtml).
L’Unione europea ha tra i suoi principali obiettivi quello di arrestare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici entro il 2020. Con il termine biodiversità tuttavia si comprendono tutti i vari livelli di organizzazione della diversità dei viventi: dai geni alle specie, alle comunità e agli ecosistemi. In campo scientifico sono stati sviluppati strumenti di valutazione del rischio di estinzione delle specie animali e vegetali, basati sull’analisi del loro stato di conservazione, delle tendenze in atto e delle prospettive future, tenendo conto delle svariate pressioni di diversa origine cui sono sottoposti. Tra i vari metodi di valutazione si è storicamente affermato quello proposto dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, la più antica e vasta organizzazione ambientale (Iucn – www.iucn.org), basato sulla compilazione di «liste rosse» delle entità più minacciate. Queste liste hanno lo scopo di indirizzare le priorità negli sforzi di conservazione e anche di evidenziare le responsabilità dei governi e delle società.
In questo scenario, la Commissione Europea ha recentemente esteso per la prima volta anche agli habitat l’approccio di red-listing sviluppato dalla Iucn: non più quindi solo specie ma anche comunità ed ecosistemi sono stati sottoposti a una valutazione del rischio di degrado e scomparsa. Con il termine habitat ci si riferisce sostanzialmente alla comunità vegetale (a diversa scala), come fa la Direttiva 92/43/CEE Habitat: quindi al livello di organizzazione della biodiversità che corrisponde all’insieme delle specie di piante che convivono in un ambiente omogeneo. Gli habitat nel loro insieme formano il variegato patchwork dei paesaggi europei: ospitano innumerevoli piante e animali e ci forniscono importanti servizi ecosistemici, dalla protezione del suolo al sequestro del carbonio, al contrasto al riscaldamento globale. Contribuiscono inoltre a produrre colture di pregio, a sostenere l’allevamento e la pesca, a dare valore aggiunto al turismo e a rendere più piacevoli le attività ricreative, costituendo un patrimonio prezioso e insostituibile per le generazioni presenti e future. Con l’intento di valorizzare la biodiversità anche al livello di comunità, nel 2016 è stata quindi pubblicata la prima Lista rossa europea degli habitat. Si tratta del risultato del lavoro di più di 300 esperti, i quali hanno contribuito con le loro conoscenze a produrre per la prima volta una quantificazione del livello di minaccia degli habitat naturali e seminaturali terrestri, d’acqua dolce e marini in Europa, sulla base della valutazione del loro tendenze attuali e storiche, qualitative e quantitative. Il documento fornisce un quadro attuale dello stato di 490 habitat, 233 terrestri e 257 marini, in 35 paesi europei, dal Circolo Polare Artico fino al Mar Mediterraneo e al Mar Nero.
La realizzazione della Lista rossa europea degli habitat è stata finanziata dalla Commissione europea. Il lavoro è stato coordinato da un partenariato comprendente l’istituto di ricerca ambientale Wageningen Environmental Research dei Paesi Bassi, la Iucn, la società di consulenza NatureBureau del Regno Unito. L’Italia ha partecipato con un ampio gruppo di esperti.
Gli habitat presi in considerazione dalla Lista Rossa si rifanno alle tipologie Eunis (European nature information system, https://eunis.eea.europa.eu), parzialmente modificate. Si tratta di un sistema di descrizione e classificazione degli habitat su base vegetazionale, sviluppato nei primi anni del 2000 e valido per l’intera Europa. Gli habitat legati agli ambienti fortemente antropizzati non sono stati presi in considerazione, con l’unica eccezione dei sistemi agricoli non intensivi che rivestono un grande interesse per la tutela della biodiversità.
I risultati del lavoro, alla luce delle analisi condotte dal team italiano, ci dicono in primo luogo che l’Italia ospita più di due terzi della totalità degli habitat terrestri e di acqua dolce censiti per l’intera Europa. Viene quindi confermata la grande ricchezza di biodiversità che caratterizza il paesaggio italiano e si evidenzia una notevole responsabilità per le istituzioni: quella di porre in atto corrette modalità di gestione del territorio, che ne garantiscano la conservazione sul lungo periodo.
Impresa non semplice, visto che complessivamente i risultati riportati nella Lista rossa europea degli habitat non sono confortanti: oltre un terzo degli habitat terrestri risultano in pericolo di scomparsa: più di tre quarti delle paludi e delle torbiere, più della metà degli habitat erbacei e quasi la metà di laghi, fiumi e coste. Particolare allarme destano in Italia le praterie secondarie e gli ecosistemi umidi, dove sono concentrati gli habitat ritenuti «in pericolo critico» che presentano un rischio elevatissimo di collasso. Tra gli habitat di particolare rilievo per il territorio italiano può essere ricordato, in quanto endemico e quindi esclusivo, quello delle «Praterie submediterranee xeriche su suoli calcarei ricchi di scheletro e su suoli ultramafici», che include i pascoli dei territori interni della penisola italiana, localizzati soprattutto sui massicci appenninici, dove caratterizzano un tipico paesaggio pastorale il cui utilizzo tradizionale non intensivo ha permesso la conservazione di una variegatissima flora ricca di peculiarità ed endemismi. Per queste tipologie, la minaccia principale è rappresentata dai fenomeni di incespugliamento innescati dall’abbandono del pascolo.
Tra gli habitat marini, i banchi di molluschi, le praterie di fanerogame marine e gli estuari sono risultati quelli maggiormente minacciati pressoché ovunque. Quasi un terzo degli habitat del Mar Mediterraneo è a rischio di collasso, mentre la situazione è leggermente migliore nell’Atlantico nord-orientale dove è a rischio circa un quarto del totale. Elevatissimo è il numero di habitat marini per i quali le informazioni disponibili sono ancora troppo scarse per poter effettuare una valutazione attendibile (circa la metà del totale); questa carenza informativa è particolarmente accentuata nel Mar Nero.
Tra le principali cause del declino degli habitat sono state identificate diverse tipologie di pressioni derivanti dalle conseguenze dirette o indirette delle attività umane. Tra le più preoccupanti a livello europeo ci sono l’intensificazione delle attività agricole, l’urbanizzazione e il consumo di suolo, l’abbandono delle attività tradizionali, le alterazioni dei sistemi naturali e il cambiamento climatico. A livello italiano lo scenario è abbastanza simile: alle pressioni citate vanno aggiunti l’inquinamento diffuso delle acque superficiali, l’alterazione degli equilibri idrogeologici e l’invasione di specie aliene sia vegetali che animali. Nell’ambiente marino, tra le pressioni maggiormente responsabili del declino degli habitat sono stati indicati l’inquinamento, l’eccesso di nutrienti, le pratiche di pesca distruttiva, lo sviluppo incontrollato delle coste, il cambiamento climatico.
* Università degli Studi di Perugia, Dip. Chimica, Biologia e Biotecnologie
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