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La Libia spara per prima, sangue sul barcone

La Libia spara per prima, sangue sul barcone

Mediterraneo Motovedetta di miliziani in azione: un morto e un ferito. I superstiti in salvo in Italia. Tutto a poche ore dall'approvazione della missione EuNavFor. Le autorità della capitale e il parlamento di Tobruk, in guerra su tutto, si ricompattano contro l’eventualità di azioni militari unilaterali dell’Ue

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 23 giugno 2015

Motovedetta libica spara contro un gommone di migranti nel Canale di Sicilia. Si conterebbero un morto, il cui cadavere sarebbe caduto in mare, e un ferito, secondo le testimonianze dei superstiti soccorsi dalla marina militare italiana. La guardia costiera di Tripoli si è tuttavia affrettata a smentire le circostanze della sparatoria. Il 32enne ferito del Gambia è stato trasferito all’ospedale civico di Palermo. Secondo gli altri a bordo, i miliziani si sarebbero avvicinati per estorcere denaro. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio e tentato omicidio.

La sparatoria ha avuto luogo a poche ore dall’approvazione da parte dell’Ue della mega-missione navale EuNavFor «contro il traffico di migranti nel Mediterraneo», che include il rafforzamento dei compiti di intelligence, pattugliamento e vigilanza. La prima missione navale europea ancora senza l’avallo decisivo dell’Onu, che sembra fatta apposta per premere sul Consiglio di sicurezza al Palazzo di Vetro.

Le autorità di Tripoli si sono subito espresse contro azioni unilaterali europee per fronteggiare l’emergenza migranti. Il numero due dell’Autorità anti-immigrazione, Mohamed Abu Breida ha chiesto che l’Ue si coordini con Tripoli per qualsiasi provvedimento. Colpire barconi in acque libiche sarebbe una «flagrante violazione della sovranità libica», ha aggiunto. Sebbene diverse sfumature tra i parlamenti di Tripoli e Tobruk, le fazioni libiche, divise su tutto, concordano solo su un punto: un’invasione Ue che passi le acque territoriali libiche non sarà tollerata.

A mostrarsi però più preparato per un’azione coordinata con la missione Ue è il parlamento di Tripoli che già un mese fa, non appena l’Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini ha annunciato il piano di azione europea, ha proposto una task force in cinque punti per l’arresto dei migranti in territorio libico in coordinamento con le municipalità. Soprattutto dalla Tripolitania partono i migranti diretti verso le coste europee.

Eppure nessuno dei due parlamenti libici sembra pronto ad affrontare la questione del contrabbando di esseri umani e ad arrestare le gang e i mediatori che continuano indisturbati il loro business criminale sulle spalle di profughi e disperati. Spesso sono proprio uomini della stessa nazionalità dei migranti a coordinare le fasi della traversata a partire da curiose pubblicità su album e social network per invogliare i malcapitati a pagare più o meno in base alla loro posizione sul gommone che li porterà verso la salvezza.

Spesso i migranti aspettano mesi in case di fortuna senza acqua, elettricità né notizie sul viaggio fino al momento della traversata. I contrabbandieri rispondono a logiche mafiose del tutto sovrapponibili a quelle della criminalità organizzata locale con un chiaro legame con le autorità politiche e in particolare con i funzionari che gestiscono i fatiscenti centri di detenzione.

In altre parole la Libia post-Gheddafi non ha prodotto istituzioni politiche distinte dalle milizie che si spartiscono il territorio. Anzi, se prima lo Stato tendeva a provvedere alla sicurezza locale, con gli attacchi della Nato che abbatterono Gheddafi, le rivolte jihadiste a Bengasi contro l’«alleato» Usa, il golpe di Haftar dello scorso anno e la spaccatura tra miliziani di Zintan e di Misurata, ecco che i parlamenti di Tobruk e Tripoli sono diventati una mera estensione delle bande armate che controllano il paese. La Libia oggi è un insieme di aree non governate, sfuggite al controllo anche delle tribù locali e in mano, come Derna, alle milizie jihadiste dell’Is, con una violenza sempre più diffusa e simile al vicolo cieco somalo.

Le Nazioni unite non sembrano riuscire a trovare una soluzione credibile in questo contesto, nonostante le tante «chiacchiere» del ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni. Il tavolo negoziale a cui partecipano rappresentanti di Tobruk e Tripoli va avanti senza risultati. La quarta bozza negoziale (dopo una terza respinta duramente da Tobruk nonostante proponesse un unico governo e il riconoscimento del solo parlamento di Tobruk) – che prevede la formazione di un governo di unità nazionale non sembra raccogliere l’entusiasmo delle parti. L’inviato Onu per la Libia Bernardino León ha chiesto ai due parlamenti di accettare il piano di pace sottolineando come non esista sulla carta la possibilità di una soluzione militare alla crisi.

Infine, Human Rights Watch denuncia le condizioni disumane in cui vivono i migranti nei centri di detenzione di Tobruk dopo una visita di operatori del think tank che ha provocato dure reazioni delle autorità della Cirenaica.

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