Al Louvre è conservata La Libertà che guida il popolo, la tela che Eugène Delacroix realizzò nel 1830, l’anno in cui Parigi insorge contro la decisione del re Carlo X di sciogliere la Camera e abolire la libertà di stampa. Si tratta di una vasta pittura, misura due metri e sessanta in altezza e tre metri e venticinque alla base. Il grande formato illude nell’osservatore la sensazione di partecipare, come si svolgesse sotto i suoi occhi, quasi egli fosse presente in quella strada, alla rivolta che è al culmine e gli insorti avanzano tra i fumi delle cannonate che salgono oltre i palazzi e le torri di Notre Dame. Ora, qui, sul selciato, tra i corpi esanimi di chi è stato colpito dalle fucilate, mentre, animati dalla Libertà che procede alla loro testa, sopraggiungono popolani in armi: uno indossa la bandoliera ad armacollo sulla camicia sdrucita, ecco una donna e un borghese col cappello a cilindro. Rammenta costui nel volto i tratti di Delacroix medesimo che, del resto, al tempo dei moti faceva parte della guardia nazionale. A fianco della Libertà, un ragazzo che impugna due pistole, una per mano. La Libertà, col berretto frigio, agita al vento la bandiera coi colori di Francia e brandisce un fucile, la baionetta innestata, pronta ad un prossimo assalto all’arma bianca.

Uno dei motivi che determinarono più di una perplessità tra i visitatori del Salon del 1931, dove il quadro fu presentato al pubblico, fu proprio l’immagine della Libertà, raffigurata in una sorta di ibridazione d’una forma muliebre classica risolta in una resa realistica. Delacroix fu suggestionato sicuramente dalla statua in marmo pario della cosiddetta Venere di Milo che nel 1821, poco dopo il suo ritrovamento nell’isola greca, giunse a Parigi suscitando universale ammirazione. Delacroix muove quell’aulico corpo, lo riveste d’un panno ordinario legato ai fianchi da una duplice fusciacca e ne lascia il seno scoperto. Si chiede Delacroix in certi suoi Pensieri sulla pittura: «che cosa vuol dire comporre?». E si risponde: «Associare con potenza».

Federico Zeri non manca di riferire le «critiche molto violente» comparse sui giornali dell’epoca. Di quella giovane donna, delineata per fornire l’immagine allegorica dell’ideale della libertà, «si rimproveravano le mammelle troppo grandi e di cui molti critici citavano addirittura le ascelle con i peli ben visibili. Questo è un particolare molto curioso» continua Zeri, «i peli, salvo la barba e i capelli, non vengono mai riprodotti nella pittura accademica, in genere il nudo è depilato, come nelle sculture, e quindi il dettaglio indignò molte persone».

È che questa figura celebre può suscitare più di un ragionamento in chi ne intenda analizzare la retorica che la istituisce e la fa eloquente. Abbiam detto del ricorso ad uno stilema classico, ovvero ideale, declinato in termini, per dir così, ordinari, immesso in una situazione viva, ovvero inserito in un contesto storicamente determinato. Come a dire: l’ideale della libertà per affermarsi richiede d’esser calato in un atto, non elevato in un concetto. La libertà esige, per attestarsi, una prassi che la istituisca. A questa stregua la peluria dell’ascella è l’indizio che Delacroix fornisce a comprova di questo passaggio dal concetto alla prassi. Agire, affinché la libertà si affermi e duri, può costare la vita. Questo, oltre l’enfasi d’una immagine che celebra la cronaca dell’insurrezione parigina del luglio del 1830, dice La Libertà che guida il popolo. Lo dice con quei tre morti dipinti in primo piano.

Alcune amare riflessioni di Delacroix Sull’arte della guerra ci restano. Vi si legge tra l’altro: «Ai nostri giorni l’arte della guerra è veramente l’arte di uccidere». Dalla Libertà del 1830 son trascorsi trentacinque anni quando Edgar Quinet dà alle stampe La Rivoluzione, nel 1865. Scrive: «Sono passati settantacinque anni da quando la Rivoluzione francese ha proclamato la libertà con i diritti dell’uomo. Fiumi di sangue sono stati versati per questa conquista attraverso tutta l’Europa. Assemblee immortali hanno acclamato, costituito, rafforzato, uno dopo l’altro, questi diritti nuovi. Due milioni di uomini sono morti per questa causa».