La lenta agonia di Ansaldo Breda
Industria Operai in piazza a Palerno contro la cig per lo stabilimento di Carini. Il 14 gennaio incontro al ministero
Industria Operai in piazza a Palerno contro la cig per lo stabilimento di Carini. Il 14 gennaio incontro al ministero
Almeno un appuntamento per discutere di Ansaldo Breda, il 14 gennaio al ministero dello sviluppo economico, è stato ottenuto. Dopo un dicembre scandito da scioperi del gruppo, fermate delle singole fabbriche, presidi prenatalizi, e l’immancabile lettera-appello al Quirinale. Ora però i lavoratori dell’unico polo ferroviario italiano avranno finalmente udienza. Anche grazie alle proteste più recenti, a Palermo. Da quella al teatro Massimo in occasione del tradizionale concerto di Capodanno, al sit-in di ieri davanti al palazzo d’Orleans della Regione Sicilia.
C’è stato bisogno della giustificata reazione dei 153 operai e impiegati di Carini, messi in cig per 13 settimane con lettera ricevuta – raro senso dell’inopportunità – il 31 dicembre, per scuotere il governo. “Il ministro Zanonato mi ha assicurato il suo intervento – fa sapere Leoluca Orlando – per il futuro produttivo e occupazionale dello stabilimento”. Un sindaco preoccupato, al pari dei suoi colleghi di Pistoia, Napoli e Genova. Perché fra gli annunci tranquillizzanti dell’esecutivo Letta, e le decisioni operative di Finmeccanica, c’è di mezzo un oceano. Una distanza incolmabile anche per chi, come Rosario Crocetta, aveva fatto promesse: “Aveva assicurato un dialogo con il governo – ricorda Francesco Piastra della Fiom – ma non sembra sia successo nulla”.
Il governatore isolano Crocetta è in buona compagnia. I toscani Enrico Rossi e Vannino Chiti, con gli enti locali di una Pistoia dove Ansaldo Breda è stata simbolo industriale, hanno scritto a Giorgio Napolitano. Per dire che, se da un lato le indicazioni di Enrico Letta rassicurano sull’impegno verso un polo nazionale dei trasporti, dall’altro gli atti concreti di Finmeccanica prefigurano lo smantellamento del settore civile della holding. Che pure è controllata dal Tesoro con il 33%. E, con i suoi 40mila addetti e i 10 miliardi investiti in ricerca e sviluppo negli ultimi anni, è un patrimonio del made in Italy industriale. Merce ormai rara, nel paese del turismo, della moda e dell’enogastronomia “di qualità”.
Il problema è che gli investimenti di Finmeccanica sono stati a senso unico, nella difesa e nell’aerospazio. In quel settore militare che l’ad finanziario Pansa e il presidente-poliziotto De Gennaro vogliono implementare. A scapito del civile. Così, lamentando un indebitamento di 3,3 miliardi che pure non è ancora devastante per un gigante del genere, si cedono quei business “che generano perdite e minano la redditività”. In prima fila Ansaldo Breda, che pure dà lavoro ad alcune migliaia di operai (da raddoppiare con l’indotto) e resta, ancorché malmessa, l’unica azienda italiana di un settore dal futuro assicurato come quello ferrotramviario. A patto di investirci.
Se la mission di Pansa-De Gennaro fosse solo quella di tagliare i rami secchi, nella dimensione dell’economia domestica ci sarebbero delle ragioni. Ma si vuol vendere anche Ansaldo Sts: “Un azienda tecnologicamente avanzata – avverte la Uilm – con circa 6 miliardi di ordini, ricavi per 1,3 miliardi e con un ebit di 120 milioni. C’è qualcuno che pensa che Usa, Francia e Germania rinuncino a simili gioielli con la stessa disinvoltura, per non dire stoltezza, con la quale Finmeccanica intende disfarsene, solo per abbattere il debito?”. Quanto alla terza Ansaldo, quella Energia, nonostante gli ottimi conti aziendali è già stata venduta alla Cassa depositi e prestiti. Il cui presidente, Giovanni Gorno Tempini, sottolinea: “E’ un’azienda che vanta la tecnologia per trasformare il gas in energia come esiste in pochi paesi al mondo”. E infatti ne vuol cedere più del 50% alla multinazionale di turno.
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