Scuola

La legittima protesta contro i quiz Invalsi

La legittima protesta contro i quiz Invalsi

La legittima protesta contro i quiz Invalsi

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 14 maggio 2015

«Inaccettabile», ha commentato irritata la Ministra linguista Stefania Giannini. «Indecente» ha twittato il sottosegretario Faraone che, non laureato, ci pare la persona giusta per contribuire alla riforma della scuola (a proposito di meritocrazia). E ancora, «anacronistico, parasovietico, negazionista, luddista», ha tuonato con pittoresco climax il vicepresidente dell’Associazione Nazionale Presidi Mario Rusconi, nelle sue dichiarazioni a La Stampa.

Questa la variegata sfilza di epiteti con cui è stato bollato l’atteggiamento degli insegnanti italiani che ieri si sono sottratti all’operazione Invalsi. Ovvero di quei docenti che hanno legittimamente scioperato per tutta la giornata, oppure effettuato lo sciopero della mansione astenendosi dal somministrare i test, o semplicemente non hanno corretto i fascicoli, attività aggiuntiva e dunque non obbligatoria. Forme di dissenso e di protesta previste e tutelate dalla legge, ma proditoriamente definite «boicottaggio» e «sabotaggio» su tutti i media e sui social.

Siamo all’ennesima, insopportabile manipolazione delle parole. Da parte di esponenti di un governo in calo di consenso culturale e politico, che reagisce all’evidente difficoltà in cui si trova esasperando la proterva imposizione di un modello di scuola, e di società, che il mondo della scuola, e la società, stanno strenuamente respingendo. A meno che non si vogliano convincere 60 milioni di italiani che tutti i docenti, tutti gli studenti e tutti i genitori mostratisi solidali nella protesta di ieri contro i test Invalsi siano minus habentes manipolati dai sindacati.

Quello di ieri non è stato un sabotaggio. Chiamiamo le cose con il loro nome. Quello di ieri è stato, per i docenti che hanno espresso la loro posizione critica in piena autonomia, il legittimo e doveroso esercizio critico delle loro competenze tecniche in merito ad un aspetto fondamentale della didattica, cioè la valutazione. Che è e deve essere sempre articolata e multidimensionale e non può essere circoscritta ad un unico strumento, il test standardizzato, peraltro basato sull’applicazione di un modello probabilistico, quello di Rasch, ampiamente criticato a livello internazionale.

Sono anni che docenti e studenti si cimentano con i test Invalsi, fin dalle elementari, sperimentandone ogni volta i limiti, le incongruenze, la millantata oggettività che li costringe nei binari del pensiero unico, della risposta unilaterale, della negazione oppressiva di ogni capacità di comprensione e di formulazione divergente. La letteratura scientifica contemporanea in ambito docimologico e sociologico, unitamente allo studio dei casi delle diverse applicazioni in Europa e in America della pratica del test per misurare gli apprendimenti degli alunni, inducono molta cautela nella difesa a spada tratta di uno strumento impreciso, imperfetto, culturalmente riduzionistico e del tutto incongruo rispetto alle attività realmente svolte con gli studenti nelle nostre scuole. E, non ultimo, troppo spesso piegato a esigenze politiche altre, e non per eterogenesi dei fini.

Riflettere su questi aspetti della valutazione, sul legame stringente che c’è e che ci deve essere con i processi di insegnamento e apprendimento, nella loro costante dimensione relazionale, e farlo insieme agli studenti e alle loro famiglie non è boicottaggio. È cultura.

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