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La leggerezza tecnologica di Alberto Meda

La leggerezza tecnologica di Alberto MedaAlberto Meda, sedia Light Light (1987)

A Milano Alla Triennale, Museo del design italiano, la mostra sul maestro comasco, classe 1945

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 10 dicembre 2023

Alla mostra Alberto Meda. Tensione e leggerezza, fino al 7 gennaio, si arriva attraversando il Museo del Design Italiano. Il nuovo spazio denominato Design Platform sarà dedicato al contemporaneo ed è la risposta più diretta al Museo ADI Design, dall’altra parte della città. Nulla di sconveniente, anche se sarebbe auspicabile un’accorta sinergia più che la competizione espositiva.

La mostra su Alberto Meda (Tremezzina, Como, 1945) è curata da Marco Sammicheli, mentre Riccardo Blumer ne ha disegnato l’allestimento: all’interno di una serie di contenitori, oggetti che consentono al visitatore, attraverso un sistema di cavi e pulegge, di muoverli senza toccarli. Li ha chiamati «giochi» perché solo tramite l’interazione con la meccanica applicata a sedie (Physix), a occhiali (Almost Organic), a lampade da tavolo (Fortebraccio) o a soffitto (Titania), è possibile giudicare la loro funzionalità e versatilità. «Il gioco implica tecnica e precisione – scrive Blumer – ed è l’unica tecnica che divertendoci ci fa crescere». Gli oggetti da lui isolati, a volte capovolti, nelle loro «caratteristiche ginniche delle articolazioni e delle resistenze» rendono evidente come l’elemento ludico derivi dal design di Mari, Munari o Castiglioni.

La mostra si polarizza tutta sulla dimensione ingegneristica del lavoro di Meda, che in ingegneria meccanica si laurea nel 1969, per poi occuparsi del prodotto industriale in varie aziende tra cui Kartell, Gaggia e Alfa Romeo. Il contributo di Tullia Iori in catalogo (Electa) verte proprio su questo, assimilando Meda a un «ingegnere positivista”», come lo erano Morandi o Zorzi, per il suo interesse alle forze che agiscono nel prodotto lavorato a macchina, invece che un «ingegnere naturalista», alla pari di Nervi o Musumeci, vòlto ad «assecondare le caratteristiche naturali dei materiali». Il parallelo è suggestivo ma un po’ forzato, per la diversità a confronto della scala dei progetti, le finalità, l’utenza, in particolare l’ambito industriale, visto che quella delle costruzioni non è mai diventata industria.

In Meda la tecnologia dei materiali deve essere intesa per il grado di sperimentalismo, atto a soddisfare i requisiti di leggerezza. La leggerezza è sinonimo di «forma giusta», quella che resiste, non spreca ed è bella. Su una mensola c’è il manifesto della sua poetica: la piccola insegna «Lightness» in ABS.

È però la sedia Light Light (1987) che meglio interpreta i concetti-base del designer. Il più importante è che «più complessa risulta la tecnologia, più è adatta alla produzione di oggetti semplici». Se la Light Light in tessuto di carbonio era «troppo avanguardista», quindi un «fallimento commerciale», non è stato così per la lampada Lola (con Paolo Rizzato), in tecnopolimero, per la sedia Frame, in alluminio, o per i bicchieri Kristall Titanium.
Scrisse Ernesto N. Rogers che «ogni cultura assimila il materiale di cui dispone, per restituirlo in una forma che è un nuovo fenomeno». Meda «interprete della tecnica», senza cadere nel formalismo, confida nelle infinite possibilità della tecnica per un futuro meno distopico di quello che immaginiamo.

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