Mancano poche settimane alla fine dell’anno entro il quale il governo italiano, come tutti gli stati membri dell’Unione europea, dovrà trasmettere il Piano Strategico Nazionale. Si tratta – è utile ribadirlo – dello strumento con cui l’Italia spenderà la propria fetta di Pac (Politica agricola comune), quindi ci farà comprendere se l’Italia sarà capace di investire su un modello di agricoltura capace di contribuire alla conversione ecologica.

È ORMAI INEQUIVOCABILMENTE noto che dobbiamo iniziare dall’agricoltura. Lo dicono da anni gli scienziati, lo dicono le sempre citate strategie Farm to Fork e la biodiversità 2030, lo dice la Fao, emerge dai lavori di Agenda 2030. Ne abbiamo sentito parlare all’ultimo G20 di Roma, alla Cop 26 di Glasgow, lavori sostanzialmente fallimentari pur nella consapevolezza che il tempo della riflessione è pressoché finito. Bisogna agire.

IL MODELLO AGRICOLO INDUSTRIALE, con oltre 50 anni di scelte miopi guidate esclusivamente dal profitto, è la causa principale di questo contesto ed è per questo che è necessario avviare un concreto cambio di paradigma, di conversione verso una visione equilibrata nell’uso delle risorse naturali: acqua, suolo, biodiversità, servizi ecosistemici, prima di ogni altra cosa.

L’ITALIA OFFRE ALL’EUROPA NUMERI interessanti. Abbiamo la maggiore concentrazione di agricoltura biologica d’Europa, oltre il 16% della Sau (Superficie agricola utilizzata), con 4,5 miliardi di euro di volume d’affari. Il nostro paese dimostra una spiccata vocazionalità per questo modello di agricoltura sostenuta da una forte sensibilità di agricoltori e sempre maggiore dei consumatori. Quando le strategie europee hanno posto l’accento sui modelli agroecologici, e sull’agricoltura biologica in particolare, per contribuire alla neutralità climatica entro il 2030, abbiamo plaudito e immaginato di essere già sulla buona strada. Per una volta abbiamo creduto che la spinta registrata in Italia potesse fare da apripista per tutti gli stati membri.

OGGI PERO’ CREDIAMO CHE L’AGRICOLTURA biologica sia sotto attacco, ancora una volta. Inspiegabilmente, si potrebbe dire, anche se è facile attribuire questo attacco alle sirene di un modello agroindustriale che vuole sopravvivere colorandosi di verde ma rimanendo inalterato al proprio interno. La proposta di legge sull’agricoltura biologica ha superato tutti i passaggi previsti dal nostro ordinamento, eppure non ne viene calendarizzata la definitiva approvazione perché qualcuno ha sollevato pretestuose critiche. Ma non basta questo. Alle organizzazioni dei produttori biologici non è stato dato l’ascolto che merita un comparto del genere nell’attuale discussione sul Piano strategico nazionale. Oltre 2 milioni di ettari di produzione in Italia e 81 mila aziende agricole impegnate, non sembrano meritare la giusta attenzione. Il Psn continua a essere timido nei confronti dell’agricoltura biologica e mostra ormai di avere scelto la via del compromesso al ribasso su tutto.

QUALE STRATEGIA C’E’ SE NON QUELLA di imbavagliare il mondo della sostenibilità in agricoltura? Dove porterà questa miopia che legherà le risorse economiche della Pac a un’agricoltura italiana sempre più lontana dalla visione agroecologica? L’attacco all’agricoltura biologica su ogni fronte è l’attacco al modello agroecologico per eccellenza, riconosciuto attraverso normative europea, ed è sempre più scelto dal consumatore che a poco a poco sta anche comprendendo che l’acquisto dei prodotti biologici contribuisce alla salute del pianeta ancor prima che alla propria.

NON POSSIAMO CHE PARLARE DI ECOTRUFFA, lo fa da settimane la coalizione CambiamoAgricoltura e lo fa perché i numeri che emergono dalle proposte di nuovo Piano strategico nazionale danno il senso e la misura della volontà di cingere questo nuovo strumento con un velo di transizione ecologica raschiando il barile a vantaggio dell’agricoltura industriale, a cominciare dal comparto zootecnico.

SIAMO DI FRONTE A ORGANIZZAZIONI di categoria che ribadiscono che bisogna garantire il sostegno alle aziende agricole più grandi e strutturate, quasi a suggellare che l’agricoltura legata al mondo rurale più vero, quello di piccola scala, non avrà un futuro. Si continua a parlare di agricoltura di precisione senza chiedersi chi sono gli agricoltori che potranno accedervi; l’Italia pensa finanche di essere innovativa proponendo un disegno di legge finalizzato all’impiego delle nuove tecnologie genetiche, pensando che tutto questo rappresenti l’innovazione di cui ha bisogno il mondo agricolo.

UN MONDO CHE, AL CONTRARIO, ha bisogno di politiche di equità, capaci di rafforzare tutto il tessuto produttivo in modo da colmare solchi e creare una ruralità resiliente. Un mondo che ha bisogno di rafforzare le politiche di sostenibilità vera, quella che guarda alla fertilità del suolo e alla biodiversità, senza se e senza ma, attraverso l’applicazione delle tecniche di agroecologia senza l’impiego di quella chimica di sintesi che è prima causa di emissione di gas serra sia quando viene prodotta sia quando viene impiegata. Con effetti devastanti che pagheranno i nostri figli.

SIAMO DI FRONTE A UNA SCELTA, quella di essere ricordati dalle future generazioni per l’egoismo che abbiamo manifestato e, oggi, non sostenere il mondo dell’agricoltura biologica significa scegliere la strada del profitto a ogni costo, soprattutto ambientale. Una scelta che i nostri figli non ci perdoneranno.