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La legge quadro sulla mobilità può servire per cambiare strada

Che stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti credo sia sotto gli occhi di tutti e questo percorso verso un modello diverso di società coinvolge pesantemente anche il nostro modo di […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 8 febbraio 2018

Che stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti credo sia sotto gli occhi di tutti e questo percorso verso un modello diverso di società coinvolge pesantemente anche il nostro modo di vivere le città. Dentro una nuova visione di «città possibile» s’inserisce a pieno titolo il tema della mobilità ciclistica. Oggi più che mai, anche a fronte di continui richiami da parte dell’Europa per dare soluzioni al tema dell’inquinamento dell’aria, è indispensabile rivedere il nostro modello di mobilità fortemente condizionato, in questi decenni, da un uso «irrazionale» dell’auto privata.
La bicicletta in questi anni è stata riscoperta da molti come il mezzo di trasporto più efficiente per gli spostamenti brevi ed è bene ricordare a noi stessi per primi che non si parte dall’anno zero e non siamo sempre gli «ultimi della classe».

Dall’osservatorio di Fiab, che tratta questi temi da oltre 30 anni, evidenziamo alcuni momenti importanti in questo percorso verso il cambiamento. Nel 2007 la Prima (e unica ad oggi) Conferenza nazionale della bicicletta, organizzata dall’allora Provincia di Milano con il sostegno del ministero dell’Ambiente, diede il via a un ampio dibattito sullo sviluppo della mobilità ciclistica, proseguito negli Stati Generali della Bicicletta del 2012 a Reggio Emilia, da cui emerse un decalogo per lo sviluppo della ciclabilità che è stato il quadro di riferimento per alcuni, in assenza di una politica nazionale.

In questi anni molte Città, Regioni, Province hanno lavorato per la promozione della mobilità ciclistica, anche se talvolta in modo disomogeneo. Tuttavia, recentemente si sono moltiplicati gli sforzi dei vari soggetti istituzionali per fare un lavoro di rete. Friuli, Veneto, Lombardia, Toscana, Liguria, Abruzzo, Emilia Romagna, Sardegna, Marche e Piemonte hanno messo in campo risorse economiche importanti per lo sviluppo della mobilità ciclistica. Un esempio virtuoso sono le Regioni che affacciano sull’Adriatico, dal Friuli alla Puglia, che stanno lavorando insieme su uno degli assi strategici della Rete Nazionale individuata dalla Legge quadro per la mobilità, (approvata a fine legislatura e in vigore dal 15 febbraio), la Ciclovia Adriatica.

Genova è impegnata in una grande opera ciclabile: un percorso che va da levante a ponente con caratteristiche tecniche innovative per una città che ha delle peculiarità che rendono difficile l’inserimento di qualsiasi tipo d’infrastruttura.

Milano, Torino, Bologna stanno adattando, fatemi dire un po’ troppo lentamente, le loro città alla mobilità ciclistica: sono grandi città che devono affrontare sicuramente problematiche complesse, ma talvolta pare che manchi il coraggio necessario per affrontare con decisione il tema come sta facendo, ad esempio, Parigi. In questi ultimi mesi, grazie al progetto Comuni ciclabili (www.comuniciclabili.it), abbiamo scoperto numerose realtà che hanno lavorato con successo per ridisegnare le loro città in favore della mobilità ciclistica: da Arborea in Sardegna che sembra essere un piccolo pezzo di Olanda in salsa sarda, a Cavallino Treporti nel Veneto con un tasso di motorizzazione tra i più bassi (rispetto alla media nazionale); da Cesena in Emilia Romagna con diffusi interventi di moderazione del traffico a Soverato che sta cercando una sua via verso la mobilità ciclistica come elemento di qualità per lo sviluppo del turismo in una Regione, la Calabria, che è ancora molto latitante sui temi della mobilità ciclistica.

C’è un tema ancora irrisolto che è quello della sicurezza sulle nostre strade, anche se i dati valutati a fronte di un aumento dei ciclisti in strada ci dicono che c’è una diminuzione dell’incidentalità del 25% in dieci anni: un calo ancora troppo lento rispetto a quanto richiesto dall’Unione Europea con il IV programma quadro. Eppure l’incidentalità ha un costo per lo Stato che ammonta a circa 23 miliardi di euro, 4 dei quali solo per pedoni e ciclisti: sono risorse che potrebbe essere investite in interventi infrastrutturali sicuri e campagne di comunicazione adeguate.

Tutto questo per dire che abbiamo un’Italia in chiaro scuro con grandi opportunità che sono date anche dalla nuova Legge nazionale che traccia un percorso dove tutti sono coinvolti, dallo Stato Centrale ai comuni. Ma c’è anche una propensione dei cittadini italiani al cambiamento verso la mobilità ciclistica, emersa da una recente indagine dove oltre il 70% dei cittadini si dichiara pronto a salire in sella. Alla politica creare le condizioni perché lo si possa fare in sicurezza e semplicità.

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