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La Lampàra di Santa Caterina

La Lampàra di Santa Caterina

Cartelli di strada Itinerari pugliesi tra passato e presente

Pubblicato circa un anno faEdizione del 7 ottobre 2023

La litoranea a nord di Gallipoli, al livello del mare, si prolunga per una dozzina di chilometri prima che una collinetta sormontata dalla Torre dell’Alto la tronchi d’improvviso. In quel tratto finale della strada costiera si spande, su una scogliera bassa, Santa Caterina. Le fa da corona un vago aggregato collinare di esclusive residenze estive che occhieggiano dalla fitta e varia boscaglia. Costruite in stile modernista, si contrappongono all’architettura di villeggiatura tardo-ottocentesca, in chiave eclettica, intorno all’antica via che scende dalle Cenate. Santa Caterina nella luce del giorno è località soporifera, eccetto la domenica, pure in pieno agosto. Provvedono gli accoglienti bar della Piazzetta, all’immergersi del sole nelle acque sotto la torre, a rianimarla con la prima sfornata di aperitivi che attira ondate di vacanzieri e di giovanotti dei paesi circostanti. A noi era confacente sia l’uscita giornaliera, da discreti sub, sia la puntata notturna, da incalliti perditempo. In quelle stagioni, come cacciatori subacquei (attività che interpretavamo in modo sportivo) cullavamo il sogno di stanare la preda regina del mare, la cernia, sebbene consapevoli che il mini-Sten caricato con la fiocina ci consentiva la cattura del saraghetto o della triglia. Ed erano già qualcosa. La cernia, anzi le cernie, vive e in salute, ci accontentavamo di vederle nuotare, facendoci l’occhio, nelle vasche dell’acquario ospitato in una palazzina sopra la collina di Santa Caterina. Che un giornale della città capoluogo l’aveva denominata in un articolo «Beverly Hills dello Jonio».

Correvano gli anni ’70 e, da sempre ammaliati dal mare, ci deliziava la vista della nave arenatasi nel cuore della Piazzetta. Alla sua sinistra la spiaggetta di sabbia sottostante la strada, alla sua destra il porticciolo per il diporto e i piccoli pescherecci. Ciò che raffiguravamo a guisa di nave è l’edificio bianco della Lampàra, il circolo nautico, abbacinante nei giorni assolati, adagiato in lunghezza fra la scogliera e uno spicchio di mare portuale. Un circolo selezionato, segnato da oltre sessanta estati, e rigoroso: se non iscritti, previa presentazione di garanzia, ingresso precluso anche per un bicchiere d’acqua. Era proprio questo rigore, sufficientemente guasconi a vent’anni, a farcelo mirare a somiglianza di nave d’abbordare. Se in città ostentavamo sicurezza nell’infilarci, senza invito e senza biglietto, nei teatri e negli alberghi in occasione di veglioni, di cerimonie di gala e quant’altro, non potevamo rinunciare dal tentare l’imbucata estiva nel circolo più ambito della provincia insieme con lo Yacht Club di Leuca. E una volta o due, non di più, ce l’abbiamo fatta a violare la munita base della Lampàra. Una medaglia, appuntataci da soli, catalogata nell’archivio della memoria.

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