Cultura

L’A.I. “tagliata male”

Codici Aperti L’era delle macchine intelligenti, «Internet delle cose». Come in un caleidoscopio, la ricerca e sviluppo nel campo del silicio non fa che prefigurare un futuro dove l’operato delle macchine informatiche […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 4 febbraio 2016

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L’era delle macchine intelligenti, «Internet delle cose». Come in un caleidoscopio, la ricerca e sviluppo nel campo del silicio non fa che prefigurare un futuro dove l’operato delle macchine informatiche appaia intelligente. Aerei che decollano e atterrano senza nessun intervento umano, automobili che percorrono strade più o meno intasate senza un conducente; diagnosi mediche fornite da sistemi esperti informatici; operazioni di borsa automatizzate; elaborazioni in tempo reale di milioni di dati. Sono questi i campi dove militari e imprese, a ogni latitudine, investono. E questo accade proprio quando la consapevolezza di non poter costruire macchine intelligenti è divenuto patrimonio comune tra fisici, matematici, informatici. L’obiettivo ormai non è più la macchina intelligente, bensì che l’esito del suo operato appaia intelligente. È il test di Turing divenuto norma universale per attestare che alcune capacità cognitive umane possano essere riprodotte da una macchina. Come in un gioco dell’oca, i ricercatori tornano così ai nastri di partenza, visto che i primi calcolatori già riproducevano un’attività cognitiva, quella di saper far di conto. Soltanto che nell’era del silicio tutto ciò è spacciato come un passo in avanti nella costruzione di manufatti intelligenti. La posta in gioco è infatti legittimare le ingenti risorse economiche destinate all’intelligenza artificiale nonostante i risultati non siano altro che prototipi grezzi e «stupidi». Già perché è da un decennio che la computer science non produca innovazioni degne di questo nome, bensì miglioramenti delle stessi manufatti digitali. Parlare di macchine intelligenti serve inoltre a distendere un velo sull’amara realtà composta da disoccupazione di massa, precarietà, aumento delle disuguaglianze sociale e espropriazione della conoscenza da parte di imprese private. Di fronte a questa miseria del reale, viene spacciato come «roba buona» la favola di un futuro dove tutti i problemi saranno risolti da macchine.

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