Il 1985 è l’anno nel quale Ronald Reagan inizia il suo secondo mandato presidenziale. È anche l’anno in cui incontra per la prima volta Michail Gorbaciov. È il primo passo verso la fine della Guerra Fredda. Anche se i protagonisti di quello storico appuntamento non ne sono ancora consapevoli, e infatti nel mondo continua a dominare l’idea di una battaglia tra il «bene« e il «male».

 
Non sanno quale piega stiano prendendo gli eventi nemmeno le componenti di uno strano show che dal dicembre di quell’anno inizia a entrare nei piccoli schermi statunitensi. Lo spettacolo è Gorgeous Ladies of Wrestling, il cui acronimo, GLOW, ora è diventato il titolo di una nuova serie targata Netflix, ideata dal duo Liz Flahive e Carly Mensch. Un’altra serie anni Ottanta, questa volta ambientata nel mondo del wrestling al femminile, che ricalca immaginari e costumi di un’epoca contraddittoria, di passaggio per certi versi, di netta cesura per altri.

 
Il breve  cenno storico non è casuale. Nella prima puntata le protagoniste dello show vengono radunate da un regista di b-movie, con idee molto ambiziose, per interpretare uno spettacolo nel quale lo scenario post apocalittico di un’esplosione nucleare è il terreno di battaglia di sopravvissute femministe che devono spartirsi un uomo. Successivamente, però, interviene il giovane produttore del nuovo show; «Nel wrestling i retroscena non c’entrano niente, c’entrano invece i tipi», dirà per convincere regista e lottatrici a creare combattimenti in cui ad affrontarsi siano degli stereotipi.

 
In un contesto del genere, perciò, non può mancare il duello finale tra Stati Uniti e Unione Sovietica, cioè tra Liberty Bell («Vorrei evocare i poteri dei miei tre americani preferiti: Ronald Reagan, Larry Bird e Gesù Cristo in persona») e Zoya, la Destroya, la commissaria del proletariato, venuta per distruggere lo stile di vita americano, personaggio interpretato da una strepitosa Alison Brie (Mad Men).

 
GLOW non è soltanto Guerra Fredda e wrestling, anche se racconta quell’universo con spiccato senso della realtà, concentrando la maggior parte delle scene nella fase preparatoria, cioè negli allenamenti e nella trasformazione di donne che nella vita facevano tutt’altro. È esattamente questo «tutt’altro» a porsi al centro dell’attenzione. Il regista che vorrebbe fare il film della vita e si ritrova a dirigere Liberty Bell e Zoya, la Destroya; la celebre protagonista di una soap opera che ha rinunciato alla sua carriera per avere un bambino e che improvvisamente si riscopre nei panni dell’eroina bionda, esempio di un intero Paese. L’attrice che provino dopo provino, si gioca la carta della disperazione, accettando il ruolo della cattiva, della sovietica venuta a minacciare la vita dei giusti, destinata a finire sempre al tappeto. E poi tutte le altre, ognuna a recitare una lotta, dentro e soprattutto fuori dal ring.