Dopo più di tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, i tenui spiragli di una soluzione diplomatica scalfiscono appena un clima bellico che inasprisce i rapporti geopolitici e militarizza la democrazia, mentre la continua esposizione mediatica della violenza e della sofferenza le normalizza tragicamente, anestetizzando il senso di umana indignazione e solidarietà, invero già affievolito dall’“abitudine” al genocidio dei migranti e dall’autoreferenzialità del modello dell’homo oeconomicus.

Il discorso pubblico e la democrazia sono soggetti ad un governo degli assoluti: Bene o Male, amico o nemico, in una spirale di estremizzazione che si spinge sino a inserire nell’orizzonte del possibile un suicida olocausto nucleare e una devastante terza guerra mondiale, mentre avanza incontrastata la catastrofe ambientale, contraddicendo finanche l’hobbesiana ricerca della pace nell’orizzonte della sopravvivenza.

A farne le spese sono il pluralismo, che tende a spezzare dualismi artificialmente semplificatori, restituendo la complessità delle dinamiche sociali e politiche, e ogni conflitto che non sia tradotto in patriottismo atlantista, che viene espulso ed occultato. Ad essere travolto è altresì il senso del limite, che del costituzionalismo costituisce l’essenza, con la previsione di vincoli, divisioni ed equilibri; con la proclamazione dei diritti e insieme dei doveri; con il riconoscimento dell’emancipazione, personale e sociale, che restringe la libertà intesa come “privata” e assoluta; con il ripudio della guerra quale espressione della volontà di evitare una competitività che si esprime nella forma estrema della violenza. Ad essere investita dalla logica bellica, in una parola, è la democrazia, la nostra democrazia: pluralista, conflittuale e sociale.

Il Parlamento, ça va sans dire, prontamente arruolato, con un self-restraint contrario al suo ruolo, riduce il proprio intervento al conferimento di deleghe in bianco al Governo e si adagia ad ascoltare muto le informative.

La propaganda bellica espelle, tacciandole di tradimento, disfattismo, filo-putinismo, le opinioni non allineate, acutizzando, e dotandolo di un’aura etico-eroica, un moto omogeneizzante già in corso da tempo e centrato sul pensiero unico della razionalità neoliberista (che ha accompagnato, per inciso, la progressiva convergenza delle forze politiche). Vengono soffocati ed emarginati i tentativi di analisi e di mobilitazione non appiattiti sulla polarizzazione “Russia criminale” e “Ucraina eroica”, le letture all’insegna della complessità.

La prima a cadere è la libertà – effettiva – di manifestazione del pensiero, nel suo essere libertà di critica, di protesta e di dissenso; come scriveva Gramsci: i «discordi» sono disposti «in un pulviscolo individuale e disorganico» e una sola forza, controllando gli «organi dell’opinione pubblica: giornali, partiti, parlamento», modella «l’opinione e quindi la volontà politica nazionale».

L’orizzonte della guerra nel suo essere estremo, negli eroismi e nella violenza, mobilita e insieme narcotizza le coscienze.
La figura del nemico compatta e distoglie l’attenzione da diseguaglianze e disastri ambientali, arruola i cittadini in una guerra, in una visione del mondo, nella quale in realtà essi sono sudditi: non della loro emancipazione si tratta ma della competizione per il dominio di altri.

E nemico dopo nemico – migranti, no vax, dissenzienti, pacifisti – si approfondisce il solco della criminalizzazione e della repressione del dissenso e la democrazia scivola verso l’ossimoro della “democrazia senza conflitto”. Il nemico è da cancellare, è disumano – quella disumanizzazione sperimentata sui migranti –: non è forse la stessa logica che è stata applicata al conflitto sociale, al quale si vuol negare finanche il riconoscimento della stessa esistenza?

La democrazia, quindi, è vittima della guerra anche come progetto di trasformazione sociale: in quanto viene negato e distratto il conflitto sociale e in quanto l’invio di armi, così come l’aumento delle spese militari, sottraggono risorse ai diritti sociali.
Non solo. La democrazia sociale, emancipante, è anche un progetto di trasformazione sociale: si proietta nel futuro. Il dominio di una propaganda bellica pervasiva si ripercuote sul passato, sul presente e sul futuro.

Con le parole di Debord: «La prima intenzione del dominio spettacolare era far sparire la conoscenza storica in generale»; «con la distruzione della storia l’avvenimento contemporaneo stesso si allontana immediatamente in una distanza favolosa, tra le sue narrazioni non verificabili…».

Con la “fine della storia”, scompaiono la critica e la prospettiva di cambiamento. Il controllo sul presente, attraverso la perdita della dimensione storica e della complessità, ipoteca la trasformazione del futuro.