Visioni

La guerra dell’albero di Cyop e Kaf

La guerra dell’albero di Cyop e KafUna scena de Il segreto

Intervista Nella Napoli anarchica dei ragazzini coi writers napoletani: «Ci sono zone della città abbandonate, dove c’è ancora spazio per iniziative spontanee»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 2 aprile 2014

Un gioco che è una guerra e un rito di appartenenza: i ragazzini napoletani dei rioni popolari ogni anno si sfidano in occasione del cippo di Sant’Antonio. I writers Cyop&Kaf e la redazione di Napoli Monitor hanno seguito il gruppo dei Quartieri Spagnoli lungo tutte le fasi della realizzazione del cippo 2013, raccontandolo ne Il segreto. Dal 2010 la loro sede è nel sottoscala del palazzo alla sommità di via de Deo, proprio di fronte al murales in formato gigante che ritrae Diego Armando Maradona sulla parete sventrata di uno dei tanti palazzi crollati col terremoto del 1980. Il dedalo di stradine qurtiere delle truppe in epoca vicereale lo conoscono bene. Si occupano dei ragazzi della zona e indagano la città attraverso i reportage.

A Napoli Monitor Cyop&Kaf organizzano il loro lavoro di graffitari, la scacchiera di vicoli contiene oltre duecento murales: «Abbiamo cominciato da quegli edifici che, distrutti dal terremoto e mai restaurati, sono considerati terra di nessuno. Quando il primo passante si è fatto avanti e ci ha chiesto di dipingere anche la porta del suo basso, inconsapevolmente ha messo in moto una reazione a catena». Gli «scugnizzi» imparano la street art, gli anziani raccontano il quartiere. Di ritorno dal festival Cinéma du Réel – dove hanno vinto il concorso per l’opera prima – Cyop&Kaf (che firmano la regia) e Luca Rossomando (autore del soggetto), parlano del loro film.

Come vi siete procurati i mezzi per girare «Il segreto»?

Abbiamo tenuto un laboratorio in una scuola, il nostro compenso consisteva in un buono per l’acquisto di materiale, così abbiamo portato a casa due hard disk e una telecamera. Un modello molto semplice, compatto, niente di complicato o costoso. Con la telecamera abbiamo seguito i ragazzi per quindici giorni. Per il montaggio ci ha aiutato Antonella Di Nocera con Parallelo 41, mettendoci a disposizione un piccolo budget con cui pagare Alessandra Carchedi, che lo ha curato.

È stato difficile convincere il gruppo di ragazzini a portarvi con loro?

Non siamo un corpo estraneo, viviamo nel quartiere, soprattutto siamo in grado di instaurare un rapporto con i ragazzi. E poi non sapevano bene cosa stessimo facendo; all’inizio erano consapevoli della nostra presenza ma dopo dieci minuti si scordavano di tutto. Erano completamente assorbiti dalla caccia all’albero di natale da riportare nel ‘segreto’, il luogo di raccolta in attesa del cippo finale. Cinque dei protagonisti sono venuti con noi al Torino Film Festival 2013 (dove il film è stato presentato la prima volta vincendo un premio, ndr), due a Parigi: si sono divertiti ma non raccontano quello che provano, magari tra dieci anni daranno voce alle loro emozioni. È una piccola occasione ma non bisogna caricarla di aspettative o significati. La vita è quella che hanno a casa, non è certo cambiata.

Come mai avete scelto di raccontare proprio questa storia?

Ogni anno i giornali cittadini pubblicano articoli sui teppisti che rubano l’albero di Natale nella Galleria Principe, molti napoletani tirano fuori commenti benpensanti. Noi abbiamo voluto raccontare la storia per intero, e chi vuole continuare a chiudere gli occhi lo farà. Era anche un’occasione per mostrare la città dagli occhi dei bambini. Potrebbero rimanere in casa o confinati in spazi chiusi al sicuro. E invece, nonostante siano la categoria più maltrattata, attraversano Napoli, hanno un loro modo di viverla senza la mediazione degli adulti.

Il rogo degli alberi di Natale si svolge in un cantiere fermo da decenni.

Sì, il cantiere è tuttora chiuso, e anche quest’anno il cippo si è fatto lì. In realtà funziona così: il posto è abbandonato ma in prossimità della festa di Sant’Antonio, la ditta si presenta con i lucchetti nuovi e chiama la polizia. È un modo per declinare ogni responsabilità, poi tutto torna come al solito. L’interesse a ricostruire l’edificio c’è, ma la situazione rimane molto opaca, così abbiamo un vuoto che il quartiere riempie in modo anarchico. Ci sono intere zone di Napoli abbandonate dal pubblico non solo nel centro storico ma anche alle spalle della Stazione centrale o a Bagnoli: da un lato questo si traduce in uno spreco, e in una mancanza di risposte a chi abita i luoghi, dall’altro però la speculazione non ha ancora divorato tutto e c’è ancora spazio per iniziative spontanee. Ci si può autorganizzare.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento