La protesta per lo spopolamento a Venezia con cartelli in città, 2022
La protesta per lo spopolamento a Venezia con cartelli in città, 2022
Cultura

La grande rimozione dei poveri

Libri Intorno al libro di Paola Somma (Wetlands) che indaga «vite e luoghi della Venezia popolare di inizio Novecento»
Pubblicato 11 giorni faEdizione del 2 novembre 2024

Fra le perle di una nuova casa editrice veneziana, che si caratterizza anche per un’estetica e una grafica piacevolissime e una cura editoriale non abituale ai nostri tempi (www.wetlandsbooks.com), merita una segnalazione Non è città per poveri (pp. 192, euro 20), volume dedicato da Paola Somma a «vite e luoghi della Venezia popolare di inizio Novecento».

Urbanista, già docente allo Iuav, con al suo attivo accurate ricerche storico-urbane, l’autrice si distanzia dai molti colleghi che riducono la storia urbana a quella dell’architettura, senza vedere chi la città la costruisce e la vive. Analogamente, nella discussione oggi urgente sulla tutela degli ecosistemi lagunari, deltizi e delle aree umide e sul destino del patrimonio nell’età dell’innalzamento dei mari, rimarca che molti interventi paiono «più interessati al benessere delle pietre che a quello degli abitanti».

ATTRAVERSO LA STAMPA, gli atti del consiglio, le pubblicazioni a stampa e le inchieste topografiche del medico Raffaele Vivante, nel libro si delineano le dimensioni materiali della vita dei veneziani poveri, dal lavoro alle condizioni abitative, dalle malattie alla mortalità. Al quadro drammatico rispondevano ora l’inerzia delle autorità, ora ridotte politiche di beneficenza e assistenza, ma spesso anche lo scaricamento delle colpe sulle condotte di individui e famiglie, fino all’aperta repressione (come nel caso dell’«accattonaggio»). In ogni caso, non si chiamava mai in causa la diseguaglianza strutturale che faceva di Venezia due città, quella dei ricchi e quella dei poveri, già polarizzate in centri e periferie urbane.

Lo spavento indotto dalle epidemie di colera, che minacciavano anche gli agiati, rese impellente il risanamento urbano, ma l’allarme servì solo a intercettare finanziamenti centrali per interventi che non restituivano case dignitose agli abitanti, ma ne distruggevano i tuguri per riedificare abitazioni che non potevano permettersi, finendo per peggiorare le loro condizioni. Questo meccanismo, oggi noto con il calco inglese «gentrificazione», non era affatto naturale, ma agito con cinica consapevolezza. Infatti l’idea di ridislocazione dei poveri preludeva a una vera e propria «zonizzazione di classe», che sommava l’ingiustizia spaziale di quartieri con peggiori servizi e di peggiore qualità abitativa all’ingiustizia sociale.

L’ulteriore crescita della popolazione senza adeguamento edilizio aggravò i problemi, fino ai progetti maturati durante la Prima guerra mondiale: espansione industriale in terraferma, complementare allo sviluppo turistico della città vecchia, con espulsione dei poveri senza casa nei nuovi quartieri di Marghera e dintorni (si è parlato dell’espansione di Mestre nell’intervista a Piero Brunello: https://ilmanifesto.it/esercizi-narrativi-per-una-storia-urbana). Da caserme, conventi e baracche per sfrattati non vennero indirizzati a case popolari, nemmeno alle «minime» poi cantate nello splendido brano di Gualtiero Bertelli.

Il passato risuona nel presente: la negazione del colera per garantire l’afflusso turistico fu anche testimoniata dal romanzo di Thomas Mann (e dalla stampa socialista dell’epoca)

FU L’AVVIO DI UN ESODO che in un secolo oggi ha portato sotto i 50mila abitanti una popolazione che è stata almeno tre volte più ampia. Il problema demografico non è mai solo quantitativo: si tratta di capacità di spesa, di rapporto fra redditi e costi che alla fine del ciclo rendono oggi impossibile per la gente comune vivere a Venezia, dopo l’«espropriazione della città a vantaggio degli investitori turistici». Nelle vecchie calli della miseria e delle malattie oggi soggiornano turisti ignari del passato, ma alla ricerca di esperienze esotiche.

Il problema demografico non è mai solo quantitativo: si tratta di capacità di spesa, di rapporto fra redditi e costi che rendono impossibile vivere nella «Serenissima»

Il passato invece risuona nel presente: la negazione del colera per garantire l’afflusso turistico, testimoniata dal romanzo di Thomas Mann (e dalla stampa socialista dell’epoca), non richiama cose che abbiamo vissuto di recente? La politica di attivo condizionamento della stampa per impedire notizie che pregiudicassero l’arrivo di facoltosi turisti non assomiglia ai recenti casi di multe comminate a Rimini per post ritenuti denigratori? E l’accaparramento privato delle spiagge del Lido, per metterle al servizio esclusivo di turisti paganti e costruirvi alberghi di lusso, non si può pensare come l’avvio di un modello oggi generalizzato?

SULLA MEDESIMA LINEA di dialogo fra presente e passato si muove la bella prefazione di Clara Zanardi (autrice di un libro importante: La bonifica umana. Venezia dall’esodo al turismo, Unicopli 2020) che insiste sulla presenza sempre più nascosta di povertà e lavoro dietro le quinte delle nostre città turistiche. Non è miserabilismo o mero buon cuore, ma la vecchia «questione sociale» che spinge a chiedersi perché sono così poveri e sofferenti, esclusi e oppressi coloro i quali producono la ricchezza del mondo, ad esempio reggendo da sfruttati l’enorme attività economica che chiamiamo «turismo».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento